Le linee interpretative circa l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte offesa nell’ambito del processo penale sono enunciate dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 41461/2012 che afferma che “le regole dettate dall’art. 192 C.p.P., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengano sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone“.
L’art 192 comma 3 C.p.P. stabilisce che le dichiarazioni rese dal coimputato o persona imputata in un procedimento connesso debbano essere valutate unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità. Tale norma non si applica alle dichiarazioni rese dalla persona offesa. Nell’ipotesi in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell’imputato può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Cass. Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012). E, in tali ipotesi, è opportuno sottolineare come la giurisprudenza di legittimità si esprima in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità. (Cass. Pen., Sez. II, 15 novembre 2016, n. 5).
Ne consegue la piena efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte offesa (spesso costituita parte civile nel processo penale) pienamente idonee a fondare la responsabilità penale dell’imputato. Il giudizio di attendibilità della persona offesa deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengano sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi altro testimone, sotto il profilo della credibilità oggettiva e soggettiva alla luce di tutti gli elementi probatori processualmente acquisiti.
Peraltro costituisce principio incontroverso che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis Cass, Sez. 6, n. 27322 del 2008; Cass., Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008; Cass., Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004; Cass., Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003; Cass., Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003). (Cass. Pen., Sez. II, 15 novembre 2016, n. 5).