Elemento soggettivo del reato di atti persecutori
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Nel delitto di atti persecutori, l’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi (Cass., Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014).
In altri termini, il dolo ha ad oggetto le condotte persecutorie, e non rilevano, a tal fine, le finalità soggettive eventualmente perseguite: (Cass. 15633/2021: nel caso di specie, la madre con la pretesa di vedere il figlio, che a seguito del rifiuto dell’altro genitore, trattandosi di incontro non regolamentato dai Servizi sociali, realizza una condotta molesta; il proposito di vedere il figlio, trattandosi di incontro non regolamentato dai Servizi sociali, non priva la condotta del carattere di illiceità, trattandosi del mero movente dell’azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto l’autore ad agire, facendo scattare la volontà della condotta; al riguardo, è pacifico che il movente dell’azione, pur potendo contribuire all’accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto), (Sez. 1, n. 466 del 11/11/1993, dep. 1994: “Il movente è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l’individuo ad agire; esso va distinto dal dolo, che è l’elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e volizione dell’evento“).
Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 26 aprile 2021, n. 15633