Espressioni offensive e diritto di difesa

espressioni offensive Mantenimento del figlio maggiorenne diritto diLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il rapporto tra le espressioni offensive, integranti a livello potenziale il reato di diffamazione, utilizzate negli atti giudiziari, con il conseguente risarcimento del danno subito, e l’esercizio del diritto di difesa.

Ulteriore analisi della giurisprudenza di legittimità concerne la scriminante di cui all’art. 51 Codice Penale, in relazione ai limiti della verità putativa e della continenza nell’espressione.

Invero, secondo consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità nel conflitto tra il diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo ed insindacabile ed il diritto della controparte al decoro e all’onore,  l’art. 89 C.p.C., ha attribuito la prevalenza al primo, nel senso che l’offesa all’onore ed al decoro della controparte comporta l’obbligo del risarcimento del danno nella sola ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l’esercizio del diritto di difesa.

E ancora si afferma che “Siffatto obbligo non sussiste, invece, nel caso in cui le espressioni offensive, pur non trovandosi in un rapporto di necessità con le esigenze della difesa, presentino, tuttavia, una qualche attinenza con l’oggetto della controversia e costituiscano, pertanto, uno strumento per indirizzare la decisione del giudice e vincere la lite” (Cass. 22/06/2009, n. 14552).

La valutazione della sussistenza di un qualche collegamento funzionale delle espressioni offensive con le esigenze della difesa e con lo scopo perseguito in giudizio costituisce un apprezzamento di fatto, come tale riservato al giudice del merito ed insindacabile nel giudizio di legittimità, salva la censurabilità della relativa motivazione nei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, C.p.C.

Per quanto concerne la sussistenza della scriminante di cui all’art. 51 Codice Penale e il rispetto dei relativi limiti,  la tutela del pur preminente valore della dignità della persona deve essere affermata dopo un necessario bilanciamento con il valore irrinunciabile rivestito dal diritto di manifestazione del pensiero e di ricorrere all’autorità per la tutela di diritti o l’accertamento di fatti di ritenuta rilevanza penale, salvo naturalmente il caso in cui l’agente sia consapevole della infondatezza della denuncia e questa dunque integri il reato di calunnia.
A tal fine comunemente si afferma che, perché sussista la scriminante dell’art. 51 C.p., occorre:
– che i fatti siano riferiti ad un’autorità, di cui si chiede l’intervento perché ammesso dalla legge;
–  che si tratti di fatti immorali o illeciti strettamente pertinenti alla situazione di fatto su cui si sollecita l’intervento dell’autorità stessa;
– che i fatti siano veri o ritenuti tali in base ad una giustificata e ragionevole rappresentazione della realtà;
– che i fatti siano esposti con osservanza del limite della continenza, il quale viene in considerazione non solo sotto l’aspetto della correttezza formale dell’esposizione, ma anche sotto il profilo sostanziale consistente nel non eccedere i limiti di quanto strettamente necessario per l’appagamento del diritto di critica e dissenso.

La irrilevanza penale e civile (fonte di danno) di un esposto o di una nota critica viene peraltro affermata in giurisprudenza persino quando questa contenga espressioni polemiche, ruvide e decise e ciò in ragione della diffusa coscienza della liceità di siffatte manifestazioni del pensiero, quand’anche fondate non su meri fatti oggettivi e inconfutabili ma su supposizioni e deduzioni ragionevoli, quando il loro scopo sia indirizzato ad argomentare la sussistenza di contegni manchevoli e dannosi, che si vuole far risaltare davanti ad un organo istituzionalmente competente al loro accertamento, indipendentemente peraltro dall’esito di quest’ultimo (Cass. 18/10/2005, n. 20141;Cass. 20/06/2008, n. 16809; 15/01/2002, n. 370).

Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 3 Num. 2545 Anno 2019

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