L’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, di natura deflattiva del processo penale, è disciplinato dall’art. 35 del D.lgs. n. 274 del 2000 che stabilisce:
1. Il giudice di pace, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
2. Il giudice di pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1, solo se ritiene le attivita’ risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.
3. Il giudice di pace puo’ disporre la sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se l’imputato chiede nell’udienza di comparizione di poter provvedere agli adempimenti di cui al comma 1 e dimostri di non averlo potuto fare in precedenza; in tal caso, il giudice puo’ imporre specifiche prescrizioni.
4. Con l’ordinanza di sospensione, il giudice incarica un ufficiale di polizia giudiziaria o un operatore di servizio sociale dell’ente locale di verificare l’effettivo svolgimento delle attivita’ risarcitorie e riparatorie, fissando nuova udienza ad una data successiva al termine del periodo di sospensione.
5. Qualora accerti che le attivita’ risarcitorie o riparatorie abbiano avuto esecuzione, il giudice, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato enunciandone la causa nel dispositivo.
6. Quando non provvede ai sensi dei commi 1 e 5, il giudice dispone la prosecuzione del procedimento.
L’istituto dell’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie consente di emettere una sentenza di estinzione se l’attività risarcitoria riparatoria è ritenuta idonea a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.
Sul punto occorre verificare la sussistenza, nei reati di competenza del giudice di pace, dell’interesse della parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per intervenuto risarcimento dei danni.
Sulla questione è opportuno prendere le mosse dalla decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nell’affrontare il tema generale della rilevanza delle decisioni processuali, ha affermato che parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell’azione civilistica (Cass., Sez. U., Sentenza n. 35599 del 21/06/2012).
La sussistenza di un contrasto giurisprudenziale va verificata alla luce della considerazione che, nel caso di impugnazione della sentenza che pronuncia la causa estintiva di cui all’art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000, pur trattandosi di pronuncia penale meramente processuale, la decisione coinvolge necessariamente gli effetti civili e quelli penali.
Secondo un recente e condivisibile orientamento (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 50578 del 07/11/2013), nel procedimento penale davanti al Giudice di pace, avverso le sentenze di proscioglimento la parte civile può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, a norma del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 38 limitatamente all’ipotesi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia stata chiesta dalla persona offesa con ricorso immediato ai sensi dell’art. 21 del cit. decreto.
Da ciò discende che la persona offesa costituita parte civile, non ricorrente immediata ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 38, non sarebbe in genere legittimata all’impugnazione agli effetti penali. Ma tale ricorso, nel caso di impugnazione della sentenza che pronuncia la causa estintiva di cui all’art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000,, coinvolge necessariamente gli effetti civili e quelli penali, in quanto il legislatore non consente al Giudice di pace di scindere gli effetti civili da quelli penali.
Difatti, la sentenza è prevista per il caso in cui l’imputato abbia fatto cessare l’esigenza del processo per le sue attività di riparazione o risarcimento del danno, prima del giudizio, giusto l’art. 35, comma 2, quando tali attività si ritengano idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione.
All’uopo la legge pone le due condizioni procedurali (ad eccezione dell’ipotesi sussidiaria prevista dal comma 3): che siano sentite le parti e l’eventuale persona offesa e che l’attività risarcitoria o riparatoria dell’imputato sia stata compiuta prima dell’udienza di comparizione.
Se l’imputato adempie le prescrizioni nei termini, pronuncia la sentenza. Se non lo autorizza o se rileva le sue prescrizioni inadempiute, dispone la prosecuzione del procedimento.
Ciò premesso, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare la sussistenza dell’interesse della persona offesa, costituita parte civile, ad impugnare la sentenza di non luogo a procedere per mancanza di querela – emessa all’esito dell’udienza preliminare – trattandosi di impugnazione riguardante gli effetti penali. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 41350 del 10/07/2013). La Corte ha preso in esame la citata decisione, apparentemente difforme, adottata dalle Sezioni Unite secondo cui la – parte civile sarebbe priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela (Cass., Sez. U, n. 35599 del 21/06/2012), rilevando che la soluzione muove dalla premessa secondo la quale la presenza della parte civile ha, in generale, la finalità esclusiva di preservare e perseguire la responsabilità civile dell’imputato, talché l’interesse ad impugnare della parte civile va valutato e configurato in relazione a dette peculiarità proprie dell’azione civile promossa all’interno del processo penale.
Laddove, invece, eccezionalmente, come nel caso previsto dall’art. 428 C.p.P., comma 2, l’impugnazione della parte civile riguarda anche gli effetti penali (Cass., Sez. 5, n. 12902 del 22/02/2008; nello stesso senso Sez. U, n. 25695 del 29/05/2008), deve ritenersi sussistente l’interesse alla proposizione del ricorso per cassazione.
Sul punto specifico del citato art. 35 la Corte, più di recente ha, invece, escluso la sussistenza per la parte civile dell’interesse ad impugnare, anche ai soli fini civili, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per intervenuto risarcimento dei danni, in quanto la pronuncia, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell’estinzione del reato, e non contenendo alcun capo concernente gli interessi civili sull’esistenza del danno e sulla sua entità, non produce alcun effetto pregiudizievole nei confronti della stessa (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 30535 del 26/06/2014).
La decisione, indipendentemente dalla cennata questione relativa alla inscindibilità degli effetti, civili e penali, nell’ipotesi di cui all’art. 35, si pone in consapevole contrasto con il differente indirizzo giurisprudenziale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 40876 del 23/09/2010 e Sez. 4, n. 23527 del 14/05/2008), argomentando sulla base del principio generale per il quale la parte civile può, di norma, impugnare solo agli effetti della responsabilità civile (art. 576 C.p.P.) e muovendo dal dato normativo costituito dall’interpretazione a contrario del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 38, che limita l’impugnazione della parte civile, anche agli effetti penali, all’ipotesi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia stata chiesta dalla persona offesa con ricorso immediato ai sensi dell’art. 21 del cit. decreto. Da ciò, discenderebbe che, nel caso di imputazione formulata dal Pubblico Ministero, ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 15 e 20, la parte civile non è legittimata ad impugnare agli effetti penali. (Cass., Sez. V, ordinanza del 18 novembre 2015, n. 2291).
La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione che ha affermato il seguente principio di diritto:
“in tema di reati di competenza del giudice di pace, non sussiste l’interesse per la parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 a seguito di condotte riparatorie, in quanto tale pronuncia, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell’estinzione del reato, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce, pertanto, alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile”.
(Cass., Sez. U., 23 aprile 2015, depositata in data 31 luglio 2015, n. 33864)