La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la discrezionale valutazione di inammissibilità del programma di trattamento nell’ambito della procedura di sospensione del processo con messa alla prova.
Nel caso di specie si afferma la violazione dell’art. 464 quater, comma 4, C.p.P., in quanto, una volta disposta l’acquisizione del programma di trattamento, il Giudice di prime cure non avrebbe potuto rigettare la richiesta di messa alla prova sulla base di una valutazione prognostica in punto di recidiva, ma si sarebbe dovuto limitare a valutare l’idoneità o meno del programma di trattamento, se del caso disponendo le opportune modifiche e integrazioni.
In tal senso non è previsto alcun automatismo tra la richiesta dell’imputato e la concessione della messa alla prova e che, seppure è indubbio che lo spirito della disciplina della messa alla prova riconosce agli imputati la possibilità di procedere ad una “risocializzazione” e comunque di accedere ad un procedimento di “rieducazione” in conformità al disposto dell’art. 27, comma 3, Cost., il sistema normativo non prevede un diritto assoluto per l’imputato di accedere a tale procedura condizionato alla sua sola richiesta, ma prevede pur sempre l’esercizio di un potere valutativo del Giudice che deve inserirsi nel più ampio quadro della situazione personale dell’imputato nonché della situazione processuale nella quale verrebbe ad operare l’istituto della sospensione del processo.
L’esercizio di tale potere valutativo deve essere ricondotto ai criteri indicati dall’art. 464 quater, comma 3, C.p.P. secondo cui, invero, “la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’art. 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati…“.
Inoltre, nel caso di specie, alla luce di quanto previsto dall’art. 133, co. 2, n. 3 C.p. che fa riferimento alla condotta susseguente al reato, si ritiene che non si possa addivenire ad un giudizio favorevole circa l’astensione dal commettere ulteriori reati in considerazione della pendenza di altro procedimento penale.
Corte di Cassazione Sez. 1 n. 5433 Anno 2022