Ferro SP. Opera di Alberto Burri

Ferro SP

Ferro SP. Opera di Alberto Burri. Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

Ferro SP è un’opera (lamiere di ferro saldate su legno, cm 130 x 200) realizzata nel 1961 circa dall’artista italiano Alberto Burri, ed attualmente conservata presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

Alberto Burri (1915 – 1995) è l’artista italiano che, assieme a Lucio Fontana, ha dato il maggior contributo al panorama artistico internazionale in questo secondo dopoguerra.

La sua ricerca artistica, spaziando tra pittura e scultura, è indirizzata all’indagine sulle qualità espressive della materia. Pertanto occupa un posto di primissimo piano nel campo dell’Informale. Alberto Burri sperimenta opere che lo pongono all’attenzione della critica quali le “muffe”, i “catrami” e i “gobbi” eseguite tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 prevalentemente a carattere pittorico. Ma la sua fama la ottiene con la serie dei “sacchi” verso la metà degli anni ’50, incollando sulla tela dipinta uniformemente di un unico colore (nero, rosso, ecc) dei sacchi di juta. Sono sacchi dall’aspetto molto povero e disunto, logori e pieni di rammendi e cuciture dalla forza espressiva graffiante. Fecero molto scalpore in un clima culturale di pessimismo esistenzialistico, divenendo presto dei “classici dell’arte”. Dal 1955 al 1957 si dedica alla ricerca di nuove sperimentazioni con nuovi materiali quali camicie e stoffe diverse dai sacchi ma sempre nell’ottica costante della sublimazione dei rifiuti, ove ne evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi dell’esistenza umana.

Dal 1957 in poi, Alberto Burri con la serie delle “combustioni” compie una svolta significativa in campo artistico poiché introduce il fuoco tra i suoi strumenti tecnici.

Brucia piastre e legni, plastiche e stoffe nella poetica primordiale del fuoco che accelera la corrosione della materia.

Il suo concetto di “consunzione” raggiunge l’apoteosi con i “cretti” realizzati dagli anni ’70 in poi con miscele di caolini, pigmenti e vinavil su cellotex, tutte in bianco o nero, dall’aspetto di terra essiccata, cioè devitalizzata dalla mancanza di acqua e, pertanto, lasciata come residuo solido di una forma di vita definitivamente scomparsa dal cosmo. A tale periodo appartiene Cretto G 1 dove la materia viene frazionata creando forme e colori diversi (bianco e nero).

Tra il 1984 e il 1989 Alberto Burri realizza il Grande Cretto o cretto di Gibellina nella città vecchia di Gibellina (Trapani), completamente distrutta dal terremoto nel 1968.

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