Con l’espressione hate speech si intendono solitamente manifestazioni del pensiero dirette ad incitare, diffondere e promuovere l’odio nei confronti di alcune categorie di persone.
Gli hate speech si pongono, quindi, alla base dei fenomeni denigratori e/o discriminatori.
A livello Europeo, sebbene l’articolo 10 della CEDU disciplina la libertà di espressione, quest’ultima non può intendersi in senso assoluto.
Ai sensi dell’Articolo 10 “ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione“.
“Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera“.
L’esercizio della libertà di espressione, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto a condizioni, restrizioni o sanzioni che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate.
In verità, la libertà d’espressione, consente la manifestazione di tutte quelle “idee” o “affermazioni” che siano accolte favorevolmente o meno dalla comunità di riferimento e, quindi, devono essere necessariamente incluse anche quelle affermazioni che urtano, scuotono o inquietano uno Stato o una parte della popolazione, in virtù di principi quali il pluralismo, la tolleranza e l’apertura mentale, senza i quali non può esistere una società democratica.
In presenza di hate speech la restrizione della libertà di espressione nell’ambito della società democratica può essere ritenuta necessaria nella misura in cui sono violati lo spirito e i valori proclamati dalla Convenzione.
Su fronte della normativa italiana corre doveroso ricordare che in esecuzione del vincolo internazionale conseguente alla firma della Convenzione Internazionale di New York, sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, la disciplina dell’ hate speech rientra nella Legge n. 654 del 1975, che punisce la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, nonché l’incitamento a commettere atti di discriminazione o di provocazione alla violenza nei confronti di persone perché appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale.
Tale legge è stata poi modificata dal D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito con L. 25 giugno 1993, n. 205, nonché dalla L. 24 febbraio 2006, n. 85, art. 13, con la sostituzione delle condotte indicate in quelle di propaganda ed incitamento ( Cassazione Sent. 33179/2013).
Nella realtà della rete di Internet e dei Social Networks l’ hate speech trova in verità una zona franca, mancando una disciplina specifica di riferimento.
Negli ultimi tempi Facebook, Google e Twitter hanno adottato una politica comune per combattere l’ hate speech basata sulla segnalazione e sulla rimozione. Sebbene questo è un inizio non può considerarsi una valida soluzione al problema mancando una disciplina giuridica che possa regolamentare la materia.
Nel contempo una disciplina giuridica ad hoc costituirebbe un valido strumento per tutelare la libertà di espressione.
il problema del cyberbullismo è notevolmente cresciuto e viene affrontato diversamente tra gli Stati. notevoli progressi son stati raggiunti in Finlandia: http://www.finland.it/public/default.aspx?contentid=324026&nodeid=40248&culture=it-IT
Sono pienamente d’accordo. Alcuni Paesi hanno attuato nuove direttive per arginare sotto diversi aspetti il fenomeno del cyberbullismo e soprattutto per garantire la tutela dei diritti fondamentali quali la libertà di espressione nella rete di internet.