Il diritto di critica politica
Secondo il consolidato orientamento di legittimità ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, è necessario che l’elaborazione critica non sia avulsa da un nucleo di verità e non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Cass., Sez. 5, n. 31263 del 14/09/2020).
L’esimente non è applicabile qualora l’agente manipoli le notizie o le rappresenti in modo incompleto, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, ne risulti stravolto il fatto, inteso come accadimento di vita puntualmente determinato, riferito a soggetti specificamente individuati.
In siffatta cornice, Cass., Sez. 5, n. 31263 del 2020 ha aggiunto che l’estensione del diritto di critica politica può superare anche la necessità del riferimento a specifici fatti storici, ma non può mai prescindere dalla necessità di evitare qualsiasi travisamento o manipolazione di essi che ne determini una distorsione inaccettabile rispetto all’intento informativo dell’opinione pubblica (corsivo di chi scrive) che è alla base del riconoscimento dell’esimente, poiché quest’ultima radica le proprie basi ispiratrici nel consolidato principio che in democrazia a maggiori poteri corrispondono maggiori responsabilità e l’assoggettamento al controllo da parte dei cittadini, esercitabile anche attraverso il diritto di critica.
Siffatti approdi sono in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’incriminazione della diffamazione costituisce una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta, in principio, con l’art. 10 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a meno che non sia «prescritta dalla legge», non persegua uno o più degli obiettivi legittimi ex art. 10, par. 2, e non sia «necessaria in una società democratica».
La Corte di Strasburgo, a tal riguardo, si è occupata della correlazione dell’opinione con la «verità del fatto narrato», distinguendo, con una giurisprudenza ormai consolidata, tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengono un giudizio di valore, sottolineando come anche in quest’ultimo sia comunque sempre contenuto un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi il giudizio, versandosi, altrimenti, in affermazione offensiva ‘eccessiva‘, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali. In tal senso, la Corte europea si riferisce principalmente al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente contiguo, sempre correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che è il diritto di opinione, indicando quali siano i limiti invalicabili nel caso di critica politica.
Nella delineata prospettiva si pone la sentenza CEDU Mengi c. Turchia, del 27/02/2013, che distingue tra diritto di critica e diritto di cronaca, distinguendo tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione), rilevando come nel secondo caso il potenziale offensivo della propalazione, nella quale è tollerabile – data la sua natura – ‘exaggeration or even provocatíon‘, sia neutralizzato dal fatto che la stessa si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è ‘gratuito‘ e pertanto ingiustificato e diffamatorio.
Sia nella prospettiva interna che in quella sovranazionale la necessaria correlazione del giudizio nel quale si traduce la critica con la base fattuale pone questioni che vanno affrontate avendo ben chiaro l’obiettivo del bilanciamento imposto dall’art. 21 Cost. come pure dall’art. 10 della Convenzione.
In altri termini, la prospettiva nella quale deve muoversi la verifica dei reciproci confini tra l’intervento penale dello Stato a tutela del singolo individuo e della sua reputazione ed il diritto ad essere informati va colta nella finalità di evitare che la repressione penale determini effetti dissuasivi nell’esercizio della libertà di espressione, con un’ingerenza da parte dello Stato sproporzionata e non necessaria in una società democratica.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 5 n. 10652 del 2023