Il fenomeno del transessualismo
Transessuale, secondo la dottrina medico-legale, viene considerato il soggetto che, presentando i caratteri genotipici e fenotipici di un determinato sesso (ma alcuni autori preferiscono parlare di “genere“) sente in modo profondo di appartenere all’altro sesso (o genere), del quale ha assunto l’aspetto esteriore ed adottato i comportamenti e nel quale, pertanto, vuole essere assunto a tutti gli effetti ed a prezzo di qualsiasi sacrificio.
Il desiderio invincibile del transessuale di ottenere il riconoscimento anche giuridico dell’appartenenza all’altro sesso si esprime, da parte sua, nella volontà di sottoporsi ad intervento chirurgico demolitorio e ricostruttivo che operi, per quanto possibile, la trasformazione anatomica (degli organi genitali); intervento visto come una liberazione, in quanto la presenza dell’organo genitale (del sesso rifiutato) dà luogo a disgusto ed a stati di grave sofferenza e di profonda angoscia.
Invero, allo stadio attuale delle conoscenze scientifiche, si riconosce che la sindrome transessuale non può essere efficacemente curata né con terapie ormonali né con interventi di psicoterapia e che soltanto l’operazione chirurgica, demolitoria-ricostruttiva, può dare risultati positivi, come è stato verificato nella grande maggioranza dei casi considerati.
Nel transessuale, infatti, l’esigenza fondamentale da soddisfare è quella di far coincidere il soma con la psiche (come ebbe ad esprimersi il Bundesverfassungsgericht nella nota sentenza dell’11 aprile 1978), ed a questo effetto, di norma, è indispensabile il ricorso all’operazione chirurgica.
Il transessuale sul quale sia stata operata la trasformazione anatomica degli organi genitali è capace, di regola, di normali rapporti sessuali con un partner dell’altro sesso (quello cioè al quale egli era originariamente ascritto), mentre gli è preclusa, sempre allo stato attuale delle conoscenze e capacità scientifiche, la facoltà di generare.
Ciò che conta, però, è che l’intervento chirurgico e la conseguente rettificazione anagrafica riescono nella grande maggioranza dei casi, come si è detto, a ricomporre l’equilibrio tra soma e psiche, consentendo al transessuale di godere una situazione di, almeno relativo, benessere, ponendo così le condizioni per una vita sessuale e di relazione quanto più possibile normale.
Sulla scorta dei cennati elementi conoscitivi si è mosso anche il legislatore italiano, accogliendo un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero “naturalmente” evolutisi, sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale. Presupposto della normativa impugnata è, dunque, la concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quali deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando – poiché la differenza tra i due sessi non è qualitativa, ma quantitativa – il o i fattori dominanti.
Conclusivamente, si deve riconoscere che il legislatore è intervenuto, senza certamente né provocarla né agevolarla, su di una realtà fenomenica nota, anche se di dimensioni quantitative assai modeste, per apprestare adeguata tutela ai soggetti affetti da sindrome transessuale.
E poiché il transessuale, più che compiere una scelta propriamente libera, obbedisce ad una esigenza incoercibile, alla cui soddisfazione è spinto e costretto dal suo “naturale” modo di essere, il legislatore ha preso atto di una simile situazione, nei termini prospettati dalla scienza medica, per dettare le norme idonee, quando necessario, a garantire gli accertamenti del caso ovvero a consentire – sempre secondo le indicazioni della medicina – l’intervento chirurgico risolutore, e dare, quindi, corso alla conseguente rettificazione anagrafica del sesso.
In definitiva, la legge n. 164 del 1982 si è voluta dare carico anche di questi “diversi”, producendo una normativa intesa a consentire l’affermazione della loro personalità e in tal modo aiutarli a superare l’isolamento, l’ostilità e l’umiliazione che troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza.
Così operando il legislatore italiano si è allineato agli orientamenti legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, già affermati in numerosi Stati, fatti propri, all’unanimità dalla Commissione della Corte Europea dei Diritti dell’uomo (decisione 9 maggio 1978, nel caso Daniel OostenWijck contro Governo belga) e la cui adozione in tutti gli Stati membri della comunità è stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata al Parlamento Europeo nel febbraio 1983.
La legge n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale.
Corte Costituzionale sentenza n. 161 del 1985