Il mago che induce la cliente a subire atti sessuali
Nel caso di specie la vittima in palesi condizioni di “inferiorità psichica”, convinta che i suoi malori fossero da attribuire ad un qualche sortilegio dei suoi stretti familiari, convinzione questa avvalorata dall’ambiente e dal contesto parentale nei quali la donna era inserita, veniva indotta dall’imputato, presunto mago ovvero gestore di un centro per fenomeni paranormali, a subire atti sessuali.
Occorre ribadire la giurisprudenza della Corte di legittimità secondo la quale, in tema di violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità psichica o fisica ex art. 609 bis c.p., comma 2 n. 1, la disciplina posta dalla Legge n. 66 del 1996 – a differenza di quella previgente, dettata dall’abrogato art, 519 c.p., per il quale la violenza carnale era presunta per il solo fatto che l’agente si fosse consapevolmente congiunto con persona infraquattordicenne, ovvero malata di mente o psichicamente inferiore – in linea con l’intenzione del legislatore di assicurare pure ai soggetti in condizioni di inferiorità psichica una sfera di estrinsecazione della loro individualità, anche sotto il profilo sessuale, purchè manifestata in un clima di assoluta libertà, ha inteso punire soltanto le condotte consistenti nell’induzione all’atto sessuale mediante abuso delle suddette condizioni di inferiorità.
L’induzione si realizza quando, con un’opera di persuasione spesso sottile o subdola, l’agente spinge o convince la persona che si trovi in stato di inferiorità a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto.
Non è necessario che l’induzione determini un inganno della vittima, essendo sufficiente anche un’opera di persuasione sottile o subdola che convinca il soggetto a compiere o a subire l’atto sessuale (Cass., Sez. III, n. 32971 del 2005).
L’abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui (vedi Cass., Sez. III, n. 47453 del 2003; n. 11541 del 1999; n. 4114 del 1997).
Sussiste, dunque, un consenso della vittima all’atto sessuale, ma esso è viziato dalla condizione di inferiorità e dalla strumentalizzazione di detta condizione: è pertanto dovere del giudice espletare una indagine adeguata per verificare se l’agente abbia avuto la consapevolezza non soltanto delle minorate condizioni del soggetto passivo ama anche di abusarne per fini sessuali.
La condizione di inferiorità psichica prevista dall’art. 609 bis C.p., comma 2 n. 1, infatti, prescinde da fenomeni di patologia mentale, essendo ben riferibile a fattori di natura diversa, anche ambientale, connotati da tale consistenza ed incisività da viziare il consenso all’atto sessuale della persona offesa (Cass., n. 10804 del 1994). E’ sufficiente che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza alla altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, condizioni pure dovute ad un limitato processo evolutivo mentale e culturale, esclusa ogni causa propriamente morbosa: situazioni psichiche siffatte devono ritenersi idonee ad elidere comunque, in tutto o in parte, un valido consenso, sì da impedirle di respingere.
Corte di Cassazione penale, Sez. III, 9 maggio 2007, n. 33761