Il reato di corruzione è disciplinato dagli artt. 318 e 319 C.p., nelle due fattispecie della corruzione c.d. impropria e della corruzione c.d. propria, secondo i quali:
“Il pubblico ufficiale, che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da tre a otto anni”.
“Il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni”.
Occorre tuttavia preliminarmente considerare come il reato di corruzione propria si consumi già nel momento in cui interviene l’accordo corruttivo, risultando irrilevante il successivo, effettivo compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio. In questo senso: «Ai fini della configurabilità tanto delle corruzione impropria, prevista dall’art.318, comma primo, C.p., quanto di quella propria, prevista dall’art. 319, comma primo, stesso codice, è sufficiente che vi sia stata ricezione della indebita retribuzione o accettazione della relativa promessa, restando quindi indifferente che ad essa abbia fatto poi seguito o meno l’effettivo compimento dell’atto conforme o contrario ai doveri d’ufficio, in vista del quale la retribuzione è stata elargita o la promessa formulata» (Cass., Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003). (Cass., Sez. 6 n. 8330/2022)
Inoltre, parimenti non necessaria ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 319 C.p. risulta essere la coincidenza tra pubblico ufficiale prezzolato e verificatore/p.u. in concreto deputato al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, ben potendosi avere corruzione anche nel caso in cui il primo, appartenendo al medesimo ufficio del secondo, possa esercitare una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto. In questo senso ex multis: «Ai fini della configurabilità del reato di corruzione, sia propria che impropria, non è determinante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto» (Cass., Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010). (Cass., Sez. 6 n. 8330/2022)
Diversa (e sotto alcuni profili più mite) è la fattispecie prevista dall’art. 346-bis C.p. che punisce il traffico di influenze illecite.
Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319 ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322 bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322 bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi.
Il delitto in questione, così come introdotto dall’art. 1, comma 75, della Legge n. 190 del 2012, si configura come reato volto a punire un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione (Cass., Sez. 6, n. 11808 del 11/02/2013), risultando essenziale, ai fini della configurabilità della fattispecie di cui si discorre, che non vengano integrati gli estremi della corruzione, nemmeno tentata, ostandovi peraltro l’espressa clausola di riserva di cui all’art. 346-bis («fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis» (Cass., Sez. 6 n. 8330/2022)
In particolare, in relazione alla distinzione tra fattispecie rientrante nell’ambito dell’art. 319 C.p. e quella di cui all’art. 346-bis C.p., va distinto il caso del pubblico ufficiale terzo, assolutamente carente di potere funzionale (nel qual caso potrà configurarsi l’ipotesi delittuosa di traffico di influenze illecite), dalla diversa ipotesi in cui il fatto contrario ai doveri di ufficio rientri nelle competenze dell’ufficio cui il pubblico ufficiale corrotto appartiene, potendo quest’ultimo esercitare una qualche forma di ingerenza (rientrandosi in tale evenienza nell’alveo dell’art. 319 C.p.). Per quanto concerne il delitto di corruzione propria, elemento necessario di tipicità del fatto è rappresentato dalla riconducibilità dell’atto o comportamento oggetto del mercimonio nell’ambito delle competenze o della sfera di influenza dell’ufficio cui appartiene il soggetto corrotto, dovendo trattarsi di atti/comportamenti espressione diretta o indiretta della pubblica
funzione da questi esercitata. Diversamente, nell’ipotesi in cui l’intervento del pubblico ufficiale, esecutivo dell’accordo illecito, «non comporti l’attivazione di poteri istituzionali propri del suo ufficio o non sia in qualche modo a questi ricollegabile», essendo invece destinato a incidere nella sfera di attribuzioni di pubblici ufficiali terzi rispetto ai quali il soggetto agente risulti assolutamente carente di potere funzionale, potrà ritenersi integrata, sussistendone i relativi presupposti di legge, la diversa fattispecie di cui all’art. 346-bis C.p. (Cass., Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016). (Cass., Sez. 6 n. 8330/2022)