Il requisito della continenza nel delitto di diffamazione
Nel caso di specie sebbene le espressioni adoperate dall’imputato siano oggettivamente lesive della reputazione della persona offesa, direttore del reparto di Pronto Soccorso, devono nondimeno ritenersi scriminate dall’esercizio del diritto di critica, sussistendone i tre presupposti applicativi della verità dei fatti esposti, dell’utilità sociale della comunicazione, e della continenza, ovvero della forma “civile” dell’esposizione dei fatti e della loro vantazione.
Invero, in tema di delitti contro l’onore, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di diffamazione, non si richiede che sussista l’animus iniurandi vel diffamandi; essendo sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto è sufficiente che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza – un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (Cass., Sez, 5, n. 4364 del 12/12/2012, dep. 2013; Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013/ dep. 2014).
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato, che, in tema di diffamazione, il requisito della continenza postula una forma espositiva corretta della critica rivolta – e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione -, ma non vieta l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti (Cass., Sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, in una fattispecie in cui è stato ritenuto che l’utilizzo del termine “incompetente” nei confronti di un architetto con riferimento al suo operato tecnico non esorbiti di per sè dai limiti della critica consentiti, dovendo il giudice di merito accertare se sia possibile rilevare nei suoi confronti una carenza di capacità professionale di grave natura, alla quale sola va commisurata la portata dell’indispensabilità funzionale della critica così come formulata), e non può ritenersi superato per il solo fatto dell’utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Cass., Sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016, in una fattispecie in cui è stato ritenuto che l’utilizzo del termine “puttaniere” in un contesto familiare, da parte di una donna nei confronti del coniuge dopo che la stessa ne aveva scoperto una convivenza “more uxorio“, non esorbiti di per sè dai limiti della critica consentiti, avendo lo stesso una accezione, comune per la lingua italiana, di “donnaiolo, playboy o uomo alla ricerca di avventure passeggere“, compatibile con il requisito della continenza; analogamente, Cass., Sez. 5, n. 36077 del 09/07/2007, secondo cui “Sussiste l’esimente del diritto di critica, qualora – con una missiva indirizzata al Sindaco e alla Giunta locali – si accusino alcuni vigili urbani di “scarsa professionalità” e di “superficialità mista a incoscienza e presuntuosità” in relazione al rilevamento degli incidenti stradali, considerato che tali espressioni costituiscono giudizi di valore e che essi rispettano i canoni della pertinenza e della continenza“).
Nel caso di specie, quanto alla continenza, le espressioni critiche utilizzate non hanno trasmodato in un’aggressione gratuita alla sfera morale della persona offesa, direttore del reparto di Pronto Soccorso, essendo consistite in una censura alle attività di direzione del reparto, espressa con il termine “assoluta incapacità’ di organizzare in modo adeguato il reparto, che, pur essendo oggettivamente offensivo della reputazione professionale, non risulta travalicare, nel contesto critico e valutativo della missiva, la forma civile dell’esposizione.
L’espressione, infatti, non rivela un gratuito attacco alla persona, o una finalità meramente denigratoria, ma connoto una critica, sia pure aspra, alle capacità organizzative – ritenute insufficienti – del direttore del reparto di Pronto Soccorso.
Corte di Cassazione sentenza 05/06/2020, n. 17243