Impossessamento del cellulare per gelosia allo scopo di visionare i messaggi e le conversazioni integra il reato di furto nonostante il legame sentimentale tra le parti?
Secondo la giurisprudenza di legittimità tale condotta integra il reato di furto e non si esclude il fine di profitto e, quindi, il dolo specifico nonostante il legame sentimentale tra l’imputato e la persona offesa.
In merito all’esistenza del dolo specifico, deve osservarsi che più volte le pronunzie della Corte di legittimità hanno opinato che il concetto di profitto debba essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi non solo il vantaggio di natura puramente economica, ma anche quello di natura non patrimoniale, realizzabile con l’impossessamento della cosa mobile altrui, (cit. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 40631 del 09/10/2012). Il fine di profitto, in cui si concretizza il dolo specifico, non deve individuarsi esclusivamente nella volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 19882 del 16/02/2012). In base ai suddetti principi è stata ritenuta l’ipotesi del furto in un caso nel quale l’agente aveva sottratto un’agendina telefonica dalle mani della vittima, al solo scopo di impedire a quest’ultima di fare una telefonata, oppure nella sottrazione di un bene al solo scopo di fare una cosa sgradita al detentore.
In senso diverso qualche pronunzia ha osservato che il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioè come possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità intesa in senso economico/patrimoniale. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 30073 del 23/01/2018; conforme Cass., Sez. 4, Sentenza n. 47997 del 18/09/2009).
E’ stato, così, precisato che l’accoglimento di una nozione dilatata del concetto di profitto – che sarebbe ravvisabile anche nel soddisfacimento di un bisogno psichico o, in genere, nell’acquisizione di un vantaggio o un’utilità non patrimoniale – si presta alla considerazione critica di trascurare il dato letterale e sistematico dell’inserimento del furto nei delitti contro il patrimonio, che costituisce il bene/interesse tutelato dalla norma, apparendone problematica la coerente collocazione nell’ambito dei criteri ermeneutici dell’interpretazione letterale della legge e della volontà del legislatore.
Nello stesso solco critico è stato, per altro verso, osservato dalla dottrina che un’eccessiva espansione delle nozione di profitto, estesa fino a raggiungere qualsiasi utilità soggettivamente ritenuta apprezzabile, arrivando ad identificare lo scopo di lucro previsto nella fattispecie astratta con la generica volontà di tenere per sé la cosa, può comportare, in definitiva, l’annullamento della previsione normativa, che implica la necessità del dolo specifico. Ed in tal senso è stato chiarito che proprio il fine di profitto assolve ad una funzione di limite dei fatti punibili a titolo di furto e, nel contempo, individua una linea di confine tra il furto ed altre figure di reato, non caratterizzate dallo scopo di profitto da parte dell’agente.
Nel caso di specie l’imputato, pur avendo agito per gelosia nei confronti della donna e preso la borsa per visionare i messaggi e le conversazioni, in seguito ha restituito la borsa ma non il cellulare, dimostrando, in tal modo di volere trarre profitto anche in senso economico-patrimoniale dall’uso del telefono, restando, pertanto, integrato anche l’elemento del dolo specifico richiesto per l’integrazione del delitto. (Corte di Cass. n. 5467/2019)