Induzione indebita a dare o promettere utilità

Induzione indebita a dare o promettere utilità Attenuante del ravvedimento operoso Attenuante della collaborazione processuale Attenuanti generiche La sospensione condizionale della pena Prova e indizi Responsabilità Applicazione della pena su richiesta delle parti Misure alternative alla detenzione carceraria Defendendi Il principio di offensività Reato continuato Atti sessuali con minorenne Particolare tenuità del fatto Il reato di furto Regime di procedibilità per taluni reati Ricettazione Omicidio preterintenzionale beni culturaliL’induzione indebita a dare o promettere utilità è disciplinata dall’art. 319 quater Codice Penale (L. 6 novembre 2012, n. 190) che recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei anni a dieci anni e sei mesi. Nei casi previsti dal primo comma, chi dà o promette denaro o altra utilità è punito con la reclusione fino a tre anni ovvero con la reclusione fino a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000“.

La questione giuridica, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, attiene alla individuazione dell’esatto confine tra l’art. 319-quater C.p. e le incriminazioni riguardanti le forme corruttive nelle quali, in qualche misura, anche la fattispecie di indebita induzione è stata ritenuta attratta in ragione della punibilità del privato indotto, prevista dall’art. 319-quater, secondo comma, C.p. Non sfugge che già nella visione del legislatore storico l’induzione indebita rappresenta, nel mini-sistema di incriminazioni, l’ipotesi intermedia tra la concussione, in cui l’extraneus resta vittima dell’altrui prevaricazione, e la corruzione, connotata da una relazione pienamente paritaria tra le parti (par condicio contractualis), con le connesse difficoltà di ritagliare la situazione soggettiva del privato avuto riguardo, ad esempio, alla natura discrezionale/vincolata dell’attività amministrativa, alla sua natura, ampliativa o riduttiva della sfera giuridica dei destinatari ma anche alle varie modalità e tecniche di condizionamento psichico esercitabili dal pubblico funzionario ed al bagaglio di interessi del privato coinvolto nella concreta vicenda. (Cass. Sez. VI,  10 Marzo 2021, n. 9512).

I reati di cui all’art. 319-quater C.p., peraltro, risultano di controversa ricostruzione sul piano dottrinario e giurisprudenziale poiché si discute se ci si trovi in presenza di reato bilaterale (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 11792 del 11/02/2013) ovvero di condotte, quella del soggetto pubblico che induce e del privato indotto, che si perfezionano autonomamente ed in tempi, almeno idealmente, diversi (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 17285 del 11/01/2013).

Nella sentenza delle Sezioni Unite n. 1228/2013 “Maldera”, che si è occupata della prima definizione del nuovo assetto della riforma dei delitti di concussione e corruzione realizzata con la Legge n. 190 del 6 Novembre 2012, al fine di distinguere il reato di induzione indebita a dare o promettere di cui all’art. 319-quater C.p. da quello di corruzione, il criterio guida è stato individuato non già con riferimento al profilo dell’iniziativa della richiesta, quanto, piuttosto, sulla scorta del dato testuale dell’art. 319-quater C.p., in quello della prevaricazione abusiva dell’agente pubblico sul privato.
Chiaro è il principio di diritto enunciato dalla sentenza Maldera che recita : “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti” (Cass. S.U, n. 1228 del 24/10/2013).
In linea con questa affermazione la giurisprudenza ha valorizzato, quale requisito e criterio distintivo del reato di induzione indebita, la posizione di preminenza in concreto esercitata dal pubblico ufficiale, la condotta prevaricatrice del funzionario pubblico, cui consegue una condizione di soggezione psicologica del privato (Cass., Sez. 6, n. 52321 del 13/10/2016; Sez. 6, n. 50065 del 22/09/20). E, nel tentativo di individuare con la maggiore precisione possibile il criterio differenziale nei casi di confine con riguardo alla relazione intersoggettiva intercorrente con l’agente del reato e lo spazio di decisione lasciato all’extraneus, si è affermato che la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio è mezzo imprescindibile dell’induzione per conseguire l’evento della dazione o della promessa dell’indebito e, dunque, connotato indispensabile per la configurabilità del delitto di cui all’art. 319-quater C.p. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29321 del 14/07/2020), caratteristiche, queste, del tutto diverse dall’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti che caratterizzano i delitti di corruzione.

E’ l’abuso l’elemento differenziale tra le fattispecie di corruzione e quella di induzione indebita, abuso che può realizzarsi o mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero mediante l’abuso della qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica amministrazione (Cass., Sez. 6, n. 7971 del 06/02/2020).

Può, dunque, affermarsi che sono chiare ed univoche le coordinate tracciate dalla giurisprudenza per individuare gli elementi strutturali tipici del delitto di induzione indebita di cui all’art. 319-quater C.p. rispetto alle fattispecie di corruzione e che, all’interno di tali coordinate, non assume un ruolo dirimente quello della provenienza, dal pubblico ufficiale, della richiesta che innesca il processo volitivo dell’extraneus bensì quello della condotta di abuso del pubblico ufficiale che si esprime nella costrizione o nell’induzione. L’evoluzione della giurisprudenza, che muoveva dal criterio distintivo tra il vecchio reato di concussione di cui all’art. 317 C.p. e le previsioni recate dagli artt. 318 e 319 C.p. concentrando l’attenzione dell’interprete sull’iniziativa da parte del pubblico agente per conseguire il vantaggio illecito nelle ipotesi concussione, e in quella del privato nel caso di corruzione, ha ormai accantonato definitivamente tale criterio.
Pacifico è altresì il principio che l’abuso della qualità o dei poteri non è neppure integrato da mere situazioni di pressione ambientale ove non sia accompagnato da atti di costrizione o induzione: si tratta di un’affermazione anch’essa risalente perché, già a partire dagli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore della riforma recata dalla Legge 190 del 6 Novembre 2012, la giurisprudenza aveva precisato che non integra la fattispecie di concussione ex art. 317 C.p. o di induzione ex art. 319- quater C.p. la condotta di semplice richiesta di denaro o altre utilità da parte del pubblico ufficiale in presenza di situazioni di mera pressione ambientale, non accompagnata da atti di costrizione o di induzione (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 11946 del 25/02/2013).
Con maggiore chiarezza, per enuclearne la differenza rispetto alle condotte prossime di istigazione alla corruzione (art. 322, commi terzo e quarto, C.p.) e corruzione, la giurisprudenza ha affermato che la sollecitazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio rivolta al privato a dare o promettere denaro o altra utilità, pure se espressa con la prospettazione di evitare un pregiudizio derivante dall’applicazione della legge, mediante un atto contrario ai doveri di ufficio integra, nel caso sia rifiutata, il delitto di istigazione alla corruzione punito dall’art. 322 C.p., o, se accolta, quello di corruzione punito dall’art. 319 C.p.; la medesima sollecitazione integra, invece, il delitto induzione, punito dall’art. 319 quater C.p., quando sia preceduta o accompagnata da uno o più atti che costituiscono estrinsecazione del concreto abuso della qualità o del potere dell’agente pubblico (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 16154 del 11/01/2013). Si tratta di un principio ribadito in tempi recentissimi spiegando come, nell’intento di coprire tutta la vasta gamma di comportamenti umani attraverso i quali si articolano le relazioni interpersonali, la condotta di sollecitazione di cui al reato di istigazione alla corruzione, si distingue sia da quella di costrizione, cui fa riferimento il novellato l’art. 317 C.p., che da quella di induzione, caratterizzante la nuova ipotesi delittuosa di cui all’art. 319-quater C.p., in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente al privato senza esercitare pressioni, risolvendosi nella prospettazione di un mero scambio di “favori“, connotato dall’assenza di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 18125 del 22/10/2019) e, ancora che il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322, commi terzo e quarto, C.p. per la diversa natura del rapporto tra le parti, in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria, mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria (Cass., Sez. 6, n. 3750 del 21/10/2020).
La descritta operazione ermeneutica conferma, nel delineare la differenza strutturale tra il delitto di cui all’art. 319- quater C.p. e le fattispecie corruttive, la conclusione che la differenza tra le fattispecie poggia sul diverso atteggiarsi del rapporto tra l’agente qualificato e il privato che, nelle fattispecie corruttive, vede le parti contrapposte in posizione di sostanziale equilibrio e l’agire dell’intraneus si risolve nella sollecitazione ad un mero scambio di favori, senza estrinsecazione di condotte intimidatorie, implicite o esplicite mentre nel delitto di cui all’art. 319-quater C.p. l’agente qualificato pone in essere una pressione nei confronti del privato abusando della propria qualità e dei propri poteri, senza che tale pressione si risolva in una coazione irresistibile.
La sentenza Maldera aveva profuso un ulteriore sforzo interpretativo nella ricostruzione del rapporto tra concussione e induzione indebita non solo con riferimento alla individuazione della condotta costrittiva e induttiva ma, specularmente, sulla incidenza della condotta costrittiva ed induttiva del pubblico funzionario sulla libertà di autodeterminazione del privato, la cui condotta è sanzionata penalmente dall’art. 319-quater C.p. in ragione della sua scelta di aderire alla richiesta del pubblico funzionario per conseguire un tornaconto personale. Mentre dalla condotta costrittiva e dalla minaccia esplicita o implicita di un danno contra ius che caratterizza il delitto di concussione deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita, nel delitto di induzione indebita è proprio il vantaggio indebito, al pari della minaccia tipizzante la concussione, ad assurgere al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva giustificando (alla luce del principio di colpevolezza) la punibilità dell’indotto. La sentenza indicata prosegue invitando l’interprete ad una particolare attenzione ricostruttiva dei criteri distintivi del danno antigiuridico e del vantaggio indebito da utilizzare, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto.

Vero è, dunque, che il vantaggio indebito del privato, che costituisce l’elemento tipizzante del delitto di induzione indebita operando sul piano della individuazione della fattispecie incriminatrice, rappresenta anche la finalità avuta di mira dal privato nel delitto di corruzione di cui all’art. 319 C.p., ma il precipitato logico che si trae dalla ricostruzione dei criteri differenziali fra il delitto di cui all’art. 319-quater C.p. e le fattispecie corruttive poggia, sul piano sistematico, sulla differenza strutturale tra le fattispecie incriminatrici poiché nel delitto di corruzione difetta l’abuso della funzione o dei poteri pubblici che, come si è anticipato, nel delitto di induzione indebita di cui all’art. 319-quater C.p. costituisce l’innesco del processo volitivo del privato. E’ solo in quest’ultima fattispecie, rispetto a quella di corruzione, che all’abuso di potere o qualità corrisponde uno stato di soggezione psicologica e che l’abuso svolge il ruolo di strumento indefettibile per ottenere, con efficienza causale, la prestazione indebita mentre nel delitto di corruzione l’abuso si atteggia a “connotazione di risultato“. Efficacemente, per spiegare il rapporto tra abuso e induzione si è osservato che nel reato di induzione indebita, diversamente dalla corruzione, si ha un duplice nesso di causalità: a monte, per così dire, c’è un abuso del pubblico ufficiale, che è causa dell’induzione indebita; a sua volta l’induzione (intesa nel senso di evento della condotta e non come la condotta stessa) determina la dazione o la promessa (Cass., Sez. 6, Sentenza n. 50081 del 08/02/2018).
Non sfugge che quello dell’induzione “è un terreno paludoso, in cui il privato, sia quando persegue un proprio legittimo vantaggio (il pagamento di un credito, per esempio) sia quando vuole evitare rilievi per pregressi comportamenti abusivi o comunque non collimanti con gli impegni assunti con la pubblica amministrazione, mostra un’inclinazione spontaneamente accondiscendente al pubblico funzionario anche perché sulla scelta del privato di accettare le proposte induttrici del funzionario pesano, anche senza subire esplicite minacce, ragioni e valutazioni di tipo diverso rispetto a quelle implicate dallo specifico rapporto come la necessità di non uscire dal giro, di non aggravare una situazione debitoria pericolosa e via dicendo“.
Cionondimeno, al di fuori delle fattispecie di concussione, la libertà di autodeterminazione del privato non può identificarsi tout court con la posizione di soggezione psicologica dell’extraneus nei confronti dell’agente pubblico, frutto dell’asimmetria di posizioni. A questo riguardo, non è destinata all’irrilevanza la illiceità dell’interesse perseguito dall’extraneus poiché, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, il substrato amministrativo delle condotte ed il reale riferimento ai beni del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione non può essere trascurato, incentrando l’attenzione solo sul mercimonio della funzione pubblica e, dunque, spingendo verso una volatilizzazione del contenuto offensivo del reato, tutto esaurito nell’offesa al prestigio o alla dignità delle funzioni pubbliche: da qui la rilevanza che tale interesse assume, in presenza di una condotta di abuso di qualità o di funzioni dell’agente pubblico, in vista della punibilità del privato in relazione al reato di cui all’art. 319-quater, comma secondo C.p., e viceversa, la sua indifferenza ai fini della qualificazione giuridica del fatto come delitto di corruzione quando, muovendosi su un piano di parità con il pubblico funzionario, il privato si determini alla dazione o promessa di utilità. (Cass. Sez. VI,  10 Marzo 2021, n. 9512).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *