In materia di interpretazione del linguaggio nell’ambito delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni la giurisprudenza di legittimità e di merito, nonostante le numerose sentenze, si appalesa univoca.
In particolare, le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni sono dei principali strumenti di indagine (spesso utilizzate per i procedimenti contro la criminalità organizzata) e ne consegue che l’interpretazione del linguaggio nelle stesse adoperato, anche qualora sia criptico, costituisce una questione di fatto e deve essere ancorato a criteri (interpretativi) basati sulla logica, sulla ragionevolezza o su massime di esperienza.
Secondo il consolidato orientamento di legittimità, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, la quale si sottrae al sindacato di legittimità se la valutazione operata risulti logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate e non inficiata da travisamenti (così, per tutte, Cass. n. 15396 del 11/12/2007; Cass., Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015); inoltre, gli esiti delle intercettazioni non necessitano di riscontri, avendo valenza probatoria (nel procedimento di cognizione) ovvero indiziaria (nell’ambito del subprocedimento cautelare) “piena” (Cass., Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015).
Peraltro, va poi ribadito che la consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito, da oltre un decennio (cfr. Cass., Sez. 5, n. 13614 del 19 gennaio 2001 e, da ultimo, Cass., Sez. 2, n. 4976 del 12 gennaio 2012), che le dichiarazioni captate nel corso di attività di intercettazione (regolarmente autorizzata, ovviamente), con le quali un soggetto accusa se stesso e/o altri della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria e non necessitano quindi di ulteriori elementi di corroborazione ai sensi dell’art. 192, comma 3, C.p.P. (Cass., Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015).
Inoltre, “In sede di legittimità è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza di travisamento della prova, ossia nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva ed incontestabile” (Cass., Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017).