La libertà di manifestazione del pensiero è un principio cardine della democrazia (cit. Corte Cost. n. 64 del 1969: “pietra angolare dell’ordine democratico“) e un diritto inviolabile dell’uomo sancito dalla Carta Costituzionale.
L’art. 21 Cost., al 1° comma, così dispone:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La Corte Costituzionale ha costantemente affermato che la Costituzione, all’art. 21, riconosce e garantisce a tutti la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione e che tale libertà ricomprende tanto il diritto di informare, quanto il diritto di essere informati (v., ad esempio, sentt. nn. 202 del 1976, 148 del 1981, 826 del 1988). L’art. 21, come la Corte ha avuto modo di precisare, colloca la predetta libertà tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (art. 2 della Costituzione), i quali, in ragione del loro contenuto, in linea generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi dell’individuo, di carattere assoluto.
Tuttavia, l’attuazione di tali valori fondamentali nei rapporti della vita comporta una serie di relativizzazioni, alcune delle quali derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale, altre da particolari fisionomie della realtà nella quale quei valori sono chiamati ad attuarsi.
Sotto il primo profilo, la Corte ha da tempo affermato che il “diritto all’informazione” va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. Di qui deriva l’imperativo costituzionale che il “diritto all’informazione” garantito dall’art. 21 sia qualificato e caratterizzato: a) dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – che comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse – in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti; b) dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti; c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata; d) dal rispetto della dignità umana, dell’ ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori.
Sotto il secondo profilo, costante è l’affermazione nella giurisprudenza costituzionale che il diritto di diffusione del proprio pensiero attraverso il mezzo televisivo è fortemente condizionato dai connotati empiricamente riferibili all’uso di tale mezzo: connotati che, ove non fossero adeguatamente regolati e disciplinati, rischierebbero di trasformare l’esercizio di una libertà costituzionale in una forma di prevaricazione o, comunque, in un privilegio arbitrario.
Si tratta, in ogni caso, di elementi, la cui sussistenza dipende da fattori sociali, economici, giuridici e tecnici storicamente variabili e, comunque, obiettivamente accertabili e la cui verifica è demandata, innanzitutto, al legislatore e, in sede di controllo sulle leggi, al giudice di costituzionalità.
Corte Costituzionale sentenza 24-26 marzo 1993, n. 112