La produzione di nuovi documenti in appello ovvero nel secondo grado di giudizio è regolata dall’art. 345 C.p.C. che stabilisce il divieto di domande ed eccezioni nuove in sede del giudizio di appello:
Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.
Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.
Ora, la produzione di nuovi documenti in appello è ammissibile, ai sensi dell’art. 345 C.p.C., comma 3, nella formulazione successiva alla novella attuata mediante la L. n. 69 del 2009, a condizione che la parte dimostri di non avere potuto produrli prima per causa a sé non imputabile ovvero che essi, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado, siano indispensabili per la decisione, purché tali documenti siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nell’atto introduttivo del secondo grado di giudizio, salvo che la loro formazione sia successiva e la loro produzione si renda necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo; tale produzione è, però, comunque preclusa una volta che la causa sia stata rimessa in decisione e non può essere pertanto effettuata in comparsa conclusionale (Cass. 10 maggio 2019, n. 12574).
In generale, con riguardo alla distinzione tra “eccezioni in senso lato e mere difese nel processo civile, è stato ribadito che, mentre le prime consistono nell’allegazione o rilevazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto dedotto in giudizio ai sensi dell’art. 2697 C.c., con cui sono opposti nuovi fatti o temi di indagine non compresi fra quelli indicati dall’attore e non risultanti dagli atti di causa, le seconde si limitano invece a negare la sussistenza o la fondatezza della pretesa avversaria, per cui esse sono rilevabili d’ufficio (salvo che siano riservate alla parte per espressa previsione di legge o perchè corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva) e sono sottratte al divieto stabilito dall’art. 345 C.p.C., comma 2, sempre che riguardino fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo, e anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva” (Cass. n. 8525/2020, n. 12980/2020).
Quanto alla rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato, si è precisato che essa non è subordinata alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, poichè il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe sviato ove pure le questioni rilevabili d’ufficio fossero soggette ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (Cass. Sez. U. n. 10531/2013, Cass. n. 27988/2018).
In particolare, sulla rilevabilità d’ufficio del difetto di legitimatio ad processum, quale titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, sono stati elaborati i seguenti principi: 1) la titolarità della posizione soggettiva (attiva o passiva) vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento da parte del convenuto, ovvero lo svolgimento da parte di quest’ultimo di difese incompatibili (Cass. Sez. U., n. 2951/2016; conf. Cass. n. 14652/2016, n. 15037/2016, n. 16904/2018, n. 22525/2018; cfr. Cass. n. 16904/2018, che esclude la possibilità di svolgere dette difese oltre il momento di la maturazione delle preclusioni assertive o di merito); 2) le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotta dall’attore hanno natura di mere difese, perciò proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass. Sez. U., n. 2951/2016; conf. Cass. n. 3237/2017, n. 30545/2017, n. 11276/2018, n. 20721/2018, n. 7093/2019, n. 31402/2019, quest’ultima con riferimento anche alla cristallizzazione del thema decidendi ex art. 183 C.p.C.); 3) la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è comunque rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (Cass. Sez. U., n. 2951/2016; conf. Cass. n. 11744/2018). (Cass. ord. n. 16560/2021)