L’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità trova una specifica disciplina nel dispositivo dell’art. 129 C.p.P.
In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza.
Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta.
In conformità all’insegnamento ripetutamente impartito dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di
pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontra nel solo
caso in cui gli elementi rivelatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non
attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una “constatazione“, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Cass., Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009). E invero il concetto di “evidenza“, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 C.p.P., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (Cass., Sez. 6, n. 31463/2004). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito occorre applicare il principio di diritto secondo cui “positivamente” deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., Sez. 2, n. 26008/2007), – (cit. Cass., Sez. 7 n. 10434/2022).