L’abisso. Opera di Pietro Canonica

L’abisso

L’abisso- Palazzo Koch

L’abisso è un gruppo marmoreo realizzato nel 1909 dallo scultore piemontese Pietro Canonica, del quale una copia è conservata nell’atrio di Palazzo Koch a Roma, sede centrale della Banca d’Italia, e un’altra copia è esposta nel Museo Pietro Canonica a Villa Borghese, detta anche La Fortezzuola, sempre nella città di Roma.

Pietro Canonica (Moncalieri, Torino, 1º Marzo 1869 – Roma, 8 Giugno 1959) è stato un rinomato scultore e compositore di origine piemontese, il quale nelle sue opere combina perfettamente la tradizione classica e accademica con il sentimento romantico, ripercorrendo le tematiche rilevanti tra la fine dell’ottocento alla prima metà del novecento. Le sue opere romane sono per lo più conservate nel Museo Pietro Canonica a Villa Borghese (casa-museo detta anche La Fortezzuola), che raccoglie al suo interno una ricca serie di statue, bozzetti, busti e sculture, in marmo e in gesso, in particolare il busto di Donna Franca Florio, (datato 1900-1904), il busto in marmo della Principessa Emily Doria Pamphilj (datato 1920 circa, di cui una copia si trova presso la Galleria Doria Pamphilij), Pudore, scultura in marmo (datato 1920 circa), la scultura raffigurante Nicola Nicolajevic (datata 1912); La Raffica – Monumento funerario per la Signora Giulia Schenabl Rossi, scultura in gesso (datata 1924); il Monumento funerario a Laura Vigo, scultura in gesso (datata 1908); Sogno di primavera, scultura in marmo (datato 1920 circa) e per l’appunto L’abisso, scultura in marmo (datata 1909).

L’abisso raffigura un abbraccio passionale tra un uomo e una donna  e richiama il tema dell’amore di “Paolo e Francesca” cantato da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

Le due figure, consapevoli della perdizione morale, sono rappresentate in ginocchio, strette in un forte abbraccio, in una posizione laterale e non frontale, con il viso e il corpo del primo poggiato lateralmente sul viso e sul corpo della seconda. La forza del loro amore è espressa interamente nel loro sguardo, e che è diretto verso una direzione comune nella profondità e nell’abisso dell’inferno dantesco.

La fiammata di passione che ha bruciato i due amanti, è sinteticamente espressa soprattutto nell’incalzante succedersi, all’inizio di tre terzine consecutive, dei celebri versi:

“Amor, che al cor gentil ratto s’apprende”
“Amor, che a nullo amato amar perdona”
“ Amor condusse noi ad una morte”

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