La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la configurabilità del reato di cui all’art. 7, comma 2, L. 28 marzo 2019 n. 26 (legge in materia di reddito di cittadinanza) a seguito di lavoro in nero e la contemporanea percezione del reddito di cittadinanza.
Nel caso di specie l’imputato era stato ritenuto colpevole e veniva condannato dal giudice di merito a oltre un anno di reclusione per avere, quale percettore di reddito di cittadinanza, omesso di comunicare all’Inps lo svolgimento di attività lavorativa retribuita, seppure irregolare. Nel ricorso di legittimità l’imputato afferma la non punibilità della condotta e l’assenza dell’elemento intenzionale della stessa, in quanto l’attività lavorativa che aveva svolto era priva di retribuzione, cosicché l’omessa comunicazione contestata non rientrava tra le condotte punibili contemplate dalla norma incriminatrice, in quanto essa non avrebbe potuto comportare la revoca del beneficio, con la conseguente irrilevanza penale della comunicazione e della sua omissione.
Secondo gli Ermellini, per converso, deve essere ribadito la configurabilità del reato contestato al ricorrente a causa dell’omessa comunicazione all’Inps dello svolgimento di attività lavorativa retribuita, seppure irregolare.
Invero, secondo la corretta applicazione della comune regola di esperienza, l’attività lavorativa, anche se irregolare, viene retribuita, (nel caso di specie attraverso “regalie” corrisposte in “occasioni particolari“), cosicché le doglianze del ricorrente finiscono per appuntarsi, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, su un accertamento di fatto, circa la corresponsione di una retribuzione (che avrebbe dovuto essere comunicata all’Inps).
Accertamento che è stato giustificato in modo logico e concorde dai giudici di merito e non è, dunque, suscettibile di rivisitazione in sede di legittimità, attraverso una rilettura delle risultanze istruttore da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde e non manifestamente illogica e non è dunque suscettibile di rivisitazione, tantomeno sul piano delle valutazioni di merito, compresa quella relativa alla intenzionalità della condotta omissiva addebitata al ricorrente, nel giudizio di legittimità.
Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 25306 del 04.07.2022