Le molestie telefoniche e il reato di atti persecutori
Quando le molestie telefoniche possono integrare il reato di atti persecutori (c.d. stalking)?
Secondo il dispositivo dell’art. 612 bis, comma primo, Codice Penale “… chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.“
Tale questione è stata oggetto di giudizio dinanzi la Corte di legittimità (Cass., sentenza Sez. 1 n. 42683 del 2021). Le molestie telefoniche, nel caso di specie, avevano cagionato disturbo e arrecato un profondo stato d’ansia alla vittima, a nulla rilevando che la stessa aveva riferito di aver sentito al telefono “un ansimare“, riconducibile forse a un uomo, in quanto tale percezione non era stata supportata da altri elementi e, quindi, considerata dal giudice di merito priva di rilievo. Il Tribunale, inoltre, ha evidenziato che la molestia era stata realizzata con petulanza, in quanto la condotta si era ripetuta, con identiche modalità, in un breve arco temporale.
Inoltre, occorre ribadire che per il perfezionamento del reato in oggetto, infatti, è richiesto che la volontà della condotta e la direzione della volontà siano direzionate verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà (Cass., Sez. 1, n. 19071 del 30/03/2004). In tal senso, si consideri che, ai fini della sussistenza del reato, gli intenti persecutori dell’agente sono del tutto irrilevanti, una volta che si sia accertato che, comunque, a prescindere dalle motivazioni che sono alla base del comportamento, esso è connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone.
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 1 n. 42683 del 2021