La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la legittimazione del procuratore generale a proporre impugnazione contro l’ordinanza ammissiva alla messa alla prova.
La giurisprudenza di legittimità ha sul punto espresso orientamenti opposti.
Una prima pronuncia ha affermato che “il procuratore generale presso la Corte di appello è legittimato ad impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della prova, qualora non sia stata effettuata nei suoi confronti la comunicazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza di sospensione” (Cass., Sez. 1, n. 41629 del 15/04/2019); successivamente altra pronuncia ha, di contro, stabilito che “il procuratore generale presso la corte di appello non è legittimato ad impugnare l’ordinanza di accoglimento dell’istanza di sospensione del procedimento, neanche unitamente alla sentenza con la quale il giudice dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della prova, non essendo individuato tra i soggetti (imputato, pubblico ministero e persona offesa) che possono proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 464-quater, comma 7, C.p.P.” (Cass., Sez. 6, n. 18317 del 09/04/2021).
La decisione favorevole alla legittimazione del procuratore generale non ha dubitato che nella nozione di pubblico ministero di cui all’art. 464-quater, comma 7, C.p.P., ove si indicano appunto i soggetti legittimati al ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di ammissione alla messa alla prova, rientri a buon diritto il procuratore generale.
Ha osservato che le disposizioni in materia di impugnazioni che menzionano come soggetto legittimato il pubblico ministero intendono, salvo che sia espressamente stabilito in modo diverso, entrambe le figure, del procuratore della Repubblica e del procuratore generale presso la Corte di appello. Solo in alcuni casi, e specificamente in materia di impugnazione delle ordinanze cautelari emesse in sede di riesame o di appello, la legittimazione al ricorso per cassazione è espressamente limitata al pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura e al pubblico ministero presso il Tribunale del riesame.
Vi sono poi le impugnazioni avverso i provvedimenti emessi dal Tribunale come giudice dell’esecuzione, per le quali la giurisprudenza concordemente ritiene che il procuratore generale presso la Corte d’appello non sia legittimato a proporre ricorso per cassazione, “in quanto nel concetto di parte usato nell’art. 570, comma 1, C.p.P. non può comprendersi la Procura generale rimasta estranea al procedimento di esecuzione, riferendosi l’espressione usata ai concreti protagonisti della dialettica processuale del procedimento specifico, e non ad altri soggetti rimasti estranei a quella fase processuale” (Cass., Sez. 1, n. 943 del 02/02/1999; successivamente, Cass., Sez. 1, n. 38846 del 27/10/2006; Cass., Sez. 1, n. 1375 del 24/11/2010; Cass., Sez. 1, n. 6324 del 11/01/2013; Cass., Sez. 1, n. 15853 del 25/02/2020).
Fuori da questi settori, il riferimento al pubblico ministero non può che essere inteso nel senso onnicomprensivo, e quindi non può dubitarsi che l’ordinanza ammissiva debba essere portata a conoscenza mediante comunicazione dell’avviso di deposito, non solo delle parti del provvedimento ma anche, come espressamente indicato nell’art. 128 C.p.P., di tutti «coloro cui la legge attribuisce il diritto di impugnazione».
La successiva decisione, che ha invece negato la legittimazione del procuratore generale, ha ragionato, dopo aver richiamato il profilo soggettivo del principio di tassatività delle impugnazioni, valorizzando sia il favore che il legislatore ha mostrato per l’istituto della messa alla prova, e che giustificherebbe una selezione dei soggetti titolari del diritto di impugnazione contro l’ordinanza ammissiva, che la ritenuta oggettiva ambiguità dell’inciso “pubblico ministero” al fine di individuazione specifica di quale sia l’ufficio legittimato all’impugnazione, che, ancora, la natura autonoma del procedimento incidentale di ammissione, al quale, come è noto, il procuratore generale rimane del tutto estraneo.
Gli argomenti spesi nell’arresto da ultimo richiamato non persuadono e ciò rafforza il convincimento che la soluzione interpretativa corretta sia quella di riconoscere anche in capo al procuratore generale il potere di ricorrere per cassazione nei confronti, oltre che della sentenza che dichiari l’estinzione del reato all’esito positivo della messa alla prova, anche dell’ordinanza che alla messa alla prova abbia ammesso.
Quanto al richiamo al principio di tassatività delle impugnazioni, non è dubbio che sia la legge a dover indicare gli atti impugnabili, lo strumento con cui possono essere impugnati e i soggetti che sono legittimati. Ne è espressione, come peraltro osservato dalla sentenza che ha negato la legittimazione al ricorso al procuratore generale, l’inciso “nei casi previsti” che compare nell’art. 570 C.p.P. ove si prescrive, trattando proprio delle impugnazioni del pubblico ministero, che procuratore della repubblica e procuratore generale della Repubblica possono impugnare, appunto, “nei casi previsti“.
La precisazione è di chiara comprensione: il pubblico ministero, nella sua articolazione in procuratore della Repubblica e procuratore generale, può impugnare solo quando la legge prevede che possa farlo, individuando l’atto passibile di controllo, il mezzo di impugnazione e, eventualmente, il soggetto che, nell’ambito categoriale ampio ma non ambiguo di pubblico ministero, può esercitare il potere di impugnazione.
Si può sin d’ora osservare che, se la legge non distingue e non seleziona per il profilo soggettivo uno specifico ufficio del pubblico ministero, il riferimento al pubblico ministero come titolare del potere di impugnazione non può che significare la legittimazione anche del procuratore generale.
Vale, infatti, la regola generale dell’art. 570 comma 1 C.p.P. ove, a parte il rinvio ad una previsione di eccezione per l’appello, si stabilisce l’attribuzione concorrente del potere di impugnazione in capo a entrambi gli uffici del pubblico ministero, per mezzo della specificazione che il procuratore generale può impugnare pur quando il pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento (quindi il procuratore della Repubblica) abbia a sua volta impugnato o, di contro, abbia prestato acquiescenza al provvedimento.
Il principio di tassatività delle impugnazioni implica del resto non solo che un soggetto processuale non possa impugnare se ciò non è previsto, ma anche che non possa essere escluso dall’area dei legittimati se la legge in tal senso non ha espressamente disposto, perché in entrambi i casi risulterebbe violato il principio di legalità processuale di cui è corollario quello di tassatività, anche per il profilo soggettivo.
È appena il caso di rammentare che la Cass., Sez. U, n. 22531 del 31/05/2005 ha ben spiegato come la formulazione letterale dell’art. 570 C.p.P. abbia superato il principio giurisprudenziale per il quale, in assenza di ulteriori specificazioni nel richiamo al pubblico ministero, deve intendersi la legittimazione all’impugnazione soltanto del rappresentante della pubblica accusa presso il giudice che ha emesso il provvedimento contestato. Ed ha affermato, in modo che pare dirimente, che la disposizione dell’art. 570 C.p.P., per il suo tenore letterale, non si presta ad equivoci.
Si può di contro obiettare che l’individuazione del soggetto titolare del potere ben può essere il risultato di una considerazione di sistema, del tipo di quella che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo operato per negare al procuratore generale legittimazione al ricorso per cassazione in materia di provvedimenti di esecuzione del tribunale.
Anche ad una considerazione sistematica, però, la scelta per la legittimazione del procuratore generale resiste ai rilievi che sono stati mossi.
È pur vero che la richiesta di ammissione alla messa alla prova introduce un procedimento incidentale destinato a concludersi o con l’ordinanza ammissiva, che apre ad una fase extra-processuale, o con il provvedimento di diniego che segna la prosecuzione del processo. Ma questo connotato di incidentalità del procedimento, in cui interviene per il pubblico ministero soltanto quello costituito presso il giudice della decisione e non certo il procuratore generale, non giova a dare conto della scelta limitativa, per una pluralità di ragioni.
Il procedimento incidentale in esame, per quanto autonomo dal principale come tutti i procedimenti della medesima categoria, è comunque collegato al procedimento principale, perché in ogni caso gli esiti di quel procedimento devono refluire in quello principale, ora per la declaratoria di estinzione del reato in caso di esito positivo della prova, ora per la ripresa dell’accertamento penale se la prova ha avuto esito negativo.
Anche a voler valorizzare il carattere dell’incidentalità non può trascurarsi che per l’ipotesi di un procedimento incidentale di non minore autonomia dal principale, quale è quello cautelare, il legislatore ha ritenuto di intervenire, con clausola espressa, per escludere la legittimazione al ricorso, attribuendo il relativo potere soltanto, come si è già sottolineato, al pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura e a quello istituito presso il tribunale del riesame.
Sembra allora che, in assenza di una simile previsione limitativa del tipo di quella che regola la legittimazione del pubblico ministero nei procedimenti di riesame e di appello cautelare, non possa affermarsi che il procuratore generale sia privo del potere di ricorrere per cassazione sol perché l’ordinanza di ammissione alla prova conclude un procedimento incidentale a cui non questi non prende parte e che ha un regime di impugnazione che la sottrae alla regola dell’art. 586 C.p.P. con in più la particolarità che l’impugnazione contro la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato non può far valere motivi relativi alla decisione di ammissibilità della richiesta (per tale ultimo aspetto, Cass., Sez. 6, n. 21046 del 10/06/2020; Cass., Sez. 2, n. 5245 del 15/10/2020).
Anche le ordinanze in materia di libertà personale sono sottratte al regime di impugnazione di cui all’art. 586 C.p.P., per espressa previsione dell’ultimo comma del menzionato articolo, eppure l’esclusione del procuratore generale dall’area dei legittimati al ricorso ha avuto bisogno di una clausola normativa espressa, a conferma che in questa materia, regolata appunto dal principio di tassatività delle disposizioni, le conclusioni di interpretazione letterale non possono essere recessive rispetto a soluzioni accreditate dal metodo sistematico di interpretazione.
Ammessa la legittimazione del procuratore generale all’impugnazione della ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova, non vi sono ostacoli a ritenere che, ove non sia stato reso edotto della pronuncia dell’ordinanza per omessa comunicazione dell’avviso di deposito, possa impugnarla una volta che, comunicatagli la sentenza di proscioglimento, ricorribile per cassazione al pari di ogni altra sentenza, ne sia venuto a conoscenza.
L’impugnazione, in tale ipotesi, non patisce limiti quanto ai vizi deducibili, sicché ben può essere censurata l’ordinanza ammissiva per violazione dei presupposti di legge, e in specie per aver disposto la sospensione del processo con messa alla prova in relazione al delitto di cui all’art. 423-bis, primo e secondo comma, C.p., punito con pena massima pari a cinque anni di reclusione, e quindi superiore al limite di ammissibilità della domanda di messa alla prova di cui all’art. 168-bis, primo comma, C.p.
Corte di Cassazione Sez. 1, n. 43293 Anno 2021