La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la legittimità del licenziamento per giusta causa per un commento offensivo sul datore di lavoro postato dal lavoratore sulla bacheca Facebook. Il suddetto commento offensivo integra o può integrare, secondo la giurisprudenza di legittimità e di merito, il reato di diffamazione.
Nel caso di specie la condotta contestata al lavoratore e posta a base del licenziamento consisteva in affermazioni pubblicate su Facebook in cui si esprimeva disprezzo per l’azienda, con irrilevanza della specificazione del nominativo del rappresentante della stessa, essendo facilmente identificabile il destinatario.
La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, posto che il rapporto interpersonale, proprio per il mezzo utilizzato, assume un profilo allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.
Ciò comporta che la condotta di postare un commento su Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, con la conseguenza che, se, come nella specie, lo stesso è offensivo nei riguardi di persone facilmente individuabili, la relativa condotta integra gli estremi della diffamazione e come tale correttamente il contegno è stato valutato in termini di giusta causa del recesso, in quanto idoneo a recidere il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.
A parere del Supremo Collegio la condotta sanzionata con il licenziamento deve essere riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 C.c. (Cass. 5.4.2017 n. 8826). Va aggiunto che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto (Cass. 1.7.2016 n. 13512).
E’ poi principio acquisito in tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, che la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. 26.7.2011 n. 16283).
Corte di Cassazione, Sentenza 27 Aprile 2018, n. 10280.