Maltrattamenti della ex compagna: reato di maltrattamenti in famiglia o reato di atti persecutori?
Giurisprudenza della Corte di Cassazione
Quanto ai maltrattamenti della ex compagna, si rileva che la cessazione della convivenza con la donna costituisce un fattore ostativo alla configurabilità del reato, dovendosi, al riguardo, ribadire l’indirizzo ermeneutico secondo il quale non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei conviventi “more uxorio” ai danni dell’altro dopo la cessazione della convivenza (Cass., Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022; Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021; Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021).
Va, infatti, considerato che, muovendo dall’esegesi letterale dell’art. 572 c.p., la nozione di “persona comunque convivente” inserita dal legislatore con la novella del 2012, deve essere intesa nell’accezione più ristretta, con riferimento alla sole relazioni fondate su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continua. È stato condivisibilmente affermato dalla Corte di legittimità che, con la formula “maltratta una persona della famiglia, o comunque convivente“, il legislatore ha inteso fare riferimento a condotte che vedono come persona offesa il componente di una famiglia intesa come comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza d’affetti che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continua (Cass., Sez. 6, n. 9663 del 16/02/2022).
Occorre però dare atto dell’esistenza di un diverso orientamento ermeneutico che ritiene, invece, configurabile il reato anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio quando tra i soggetti permanga un vincolo assimilabile a quello familiare, in ragione di una mantenuta consuetudine di vita comune o dell’esercizio condiviso della responsabilità genitoriale ex art. 337-ter c.c. (si veda, tra le altre, Cass., Sez. 6, n. 7259 del 26/11/2021).
Si tratta, tuttavia, di un orientamento che non appare condivisibile in quanto, ampliando la nozione di persona convivente anche alle ipotesi in cui sia ormai cessata ogni relazione, non solo affettiva, ma anche di coabitazione fisica tra le parti, appare espressione di una non consentita interpretazione analogica in malam partem della norma penale.
Va, in proposito, rammentato che la stessa Corte costituzionale, nell’esaminare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 521 c.p.p. in relazione alla riqualificazione, prospettata dal giudice rimettente, della condotta di atti persecutori in quella di maltrattamenti in relazione ad un rapporto connotato da una relazione affettiva durata qualche mese e connotata da saltuarie permanenze di un partner nell’abitazione dell’altro, ha sottolineato la necessità che detta operazione di qualificazione giuridica dei fatti sia rispettosa del canone ermeneutico del divieto di analogia a sfavore del reo, che non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo. Sulla base di tale divieto di interpretazione analogica in malam partem della fattispecie incriminatrice, la Corte costituzionale ha, pertanto, sollecitato il giudice rimettente a valutare se possa sostenersi che la sussistenza di una siffatta relazione consenta di qualificare la persona offesa come persona appartenente alla medesima “famiglia” dell’imputato, dovendosi, in caso contrario, qualificare l’applicazione dell’art. 572 c.p. quale frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice.
Va, infine, anche precisato che tale accezione “restrittiva” della nozione di “persona della famiglia o comunque convivente“, non appare in contrasto con l’interpretazione estensiva della nozione di “prossimo congiunto” recentemente adottata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in relazione all’art. 384 c.p., trattandosi, in tale ultimo caso, di un’operazione in bonam partem che ha comportato l’adozione di una soluzione più favorevole per l’imputato (Cass., Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020 in cui la Corte ha affermato che l’art. 384, comma 1, c.p., in quanto causa di esclusione della colpevolezza, è applicabile analogicamente anche a chi abbia commesso uno dei reati ivi indicati per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il convivente “more uxorio” da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore).
Corte di Cassazione, Sez. VI penale, 15 settembre 2022, n. 34280