Principio della compensatio lucri cum damno
Il principio della compensatio lucri cum damno (o compensazione del guadagno con il danno) con riferimento al risarcimento del danno, trova un fondamento giuridico nella disposizione cui all’art. 1223 c.c. “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta“. (Cass., ordinanza n. 34073 del 18 novembre 2022)
Premesso che il risarcimento del danno, avendo la funzione di ripristinare lo status quo ante, non può condurre ad una locupletazione del danneggiato, al quale non può essere quindi attribuito un valore maggiore della perdita provocata dal fatto lesivo, nel caso in cui quest’ultimo produca non solo un danno ma anche un vantaggio per la vittima, alla quantificazione del risarcimento si perviene attraverso la compensatio lucri cum damno, ai fini della quale è necessario accertare che il lucro costituisca conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, anche se alla sua determinazione abbiano concorso altri fatti o atti o una previsione di legge.
Peraltro, la compensatio lucri cum damno richiede che il vantaggio conseguito dal danneggiato rientri nella serie causale dell’illecito, da ricostruirsi secondo un criterio adeguato di causalità, dovendosene quindi escludere l’applicazione allorché il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, o come l’effetto di un evento che si sarebbe in ogni caso prodotto, indipendentemente dal momento in cui si è verificato l’illecito, o comunque nell’ipotesi in cui il beneficio trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16702 del 05/08/2020).
Giurisprudenza di legittimità
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il predetto istituto opera soltanto nel caso in cui il pregiudizio da risarcire ed il beneficio ottenuto dal danneggiato costituiscano entrambi conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 9/03/2018, n. 5841; Cass., Sez. III, 20/05/2013, n. 12248; 2/03/2010, n. 4950). Tale indirizzo, a lungo prevalso nella giurisprudenza di legittimità, è stato peraltro dapprima disatteso da alcune pronunce in tema di cumulabilità tra il risarcimento del danno da lesioni personali e l’indennità di accompagnamento spettante alla vittima del sinistro (cfr. Cass., Sez. III, 20/04/2016, n. 7774), la rendita costituita dall’INAIL in favore del danneggiato (cfr. Cass., Sez. III, 5/12/2014, n. 25733) e l’indennità dovuta in caso di assicurazione contro infortuni non mortali (cfr. Cass., Sez. III, 11/06/2014, n. 13233), ed in seguito apertamente contestato da una sentenza in tema di concorso tra il risarcimento del danno per la morte del congiunto ed il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite: tale pronuncia, invocata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, ha infatti escluso in linea generale la cumulabilità di vantaggi e svantaggi scaturenti da un medesimo fatto, anche se alla produzione degli stessi abbiano concorso, insieme alla condotta umana, altri atti o fatti, ovvero direttamente una previsione di legge; a tal fine, essa ha evidenziato in particolare l’impropria utilizzazione del termine compensazione per riferirsi all’operazione unitaria di liquidazione del danno, nonché i mutamenti intervenuti nella concezione giurisprudenziale del rapporto di causalità, attraverso l’affermazione della nozione di regolarità causale, richiamando inoltre il principio d’indifferenza, in virtù del quale il risarcimento non può porre il danneggiato in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito (cfr. Cass., Sez. III, 13/06/2014, n. 13537).
Il contrasto di giurisprudenza in tal modo determinatosi è stato risolto da quattro note sentenze, con cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato il principio secondo cui, quando accanto al rapporto tra il danneggiato e chi è chiamato a rispondere civilmente di un evento dannoso si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato per legge o per contratto ad erogare al primo un beneficio collaterale, il criterio di selezione da utilizzare ai fini dell’ammissione o dell’esclusione del cumulo tra detto beneficio ed il risarcimento va individuato nella funzione svolta da tali attribuzioni, nel senso che l’attribuzione patrimoniale occasionata dall’illecito (o dall’inadempimento) in tanto può essere detratta dall’ammontare del risarcimento del danno da esso cagionato in quanto sul piano funzionale il beneficio trovi la sua giustificazione causale nella finalità di rimuovere l’effetto dannoso dell’illecito, e sul piano strutturale ad esso si accompagni un meccanismo di surroga o di rivalsa, idoneo ad evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per il responsabile (cfr. Cass., Sez. Un., 22/05/2018, nn. 12564, 12565, 12566 e 12567). A tale conclusione le Sezioni Unite sono pervenute dando atto per un verso dell’eccessiva restrittività dell’impostazione tradizionale, in virtù della quale l’operatività della compensatio lucri cum damno resta circoscritta all’ipotesi, ritenuta assai rara, in cui le poste attive e passive da valutare ai fini della liquidazione del risarcimento abbiano entrambe titolo nel fatto illecito, e per altro verso del contrasto della predetta impostazione con la nozione di causalità affermatasi nella giurisprudenza di legittimità, che ha comportato il superamento della distinzione tra causa remota, causa prossima e occasione; hanno ritenuto tuttavia che la sottolineatura degli inconvenienti derivanti da un’interpretazione asimmetrica dell’art. 1223 cod. civ., in virtù della quale il rapporto tra illecito ed evento può non essere immediato quando si tratta di accertare il danno, mentre deve esserlo quando occorre accertare il vantaggio eventualmente originato dal medesimo fatto illecito, non possa spingersi fino al punto da attribuire rilevanza ad ogni vantaggio indiretto o mediato, determinandosi altrimenti un’eccessiva dilatazione delle poste imputabili al risarcimento, che condurrebbe a considerare il verificarsi stesso del vantaggio come un merito da riconoscere al danneggiante. Hanno pertanto affermato che il vantaggio conseguito dal danneggiato è detraibile dal risarcimento soltanto finché rientri nella serie causale dell’illecito, da ricostruirsi secondo un criterio adeguato di causalità, escludendo conseguentemente l’applicabilità della compensati° lucri cum damno allorché il vantaggio si presenti come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato, o come l’effetto di un evento che si sarebbe in ogni caso prodotto, indipendentemente dal momento in cui si è verificato l’illecito, o comunque nell’ipotesi in cui il beneficio trovi altrove la sua fonte e nell’illecito solo un coefficiente causale. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16702 del 05/08/2020).