La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione “se in quali limiti, la condotta di la produzione di materiale pornografico realizzata con il consenso del minore ultraquattordicenne, nel contesto di una relazione con persona maggiorenne, configuri il reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, n. 1“.
Il necessario riferimento normativo è costituito dall’art. 600 ter C.p., che costituisce la prima disposizione dell’articolato sistema di fattispecie incriminatrici introdotto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, finalizzata ad armonizzare l’ordinamento penale interno ai principi sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, che, all’art. 34, impegnava gli Stati aderenti a proteggere “il fanciullo” da ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale e, quindi, dallo sfruttamento ai fini di prostituzione o di produzione di spettacoli o di materiale pornografico.
L’attuale formulazione dell’art. 600 ter C.p., è il frutto di plurimi interventi legislativi.
Nella formulazione originaria del 1998, l’art. 600 ter C.p.. (pornografia minorile) recitava: “Chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cinque milioni a lire cento milioni. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa da lire tre milioni a lire dieci milioni“.
A seguito della modifica apportata con la L. 6 febbraio 2006, n. 38, vigente dal 2 marzo 2006, la formulazione dell’articolo è la seguente: “Chiunque, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 25.822 a Euro 258.228. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al comma 1.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 1, 2 e 3, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al comma 1, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.549 a Euro 5.164. 5. Nei casi previsti dal terzo e dal comma 4 la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità“.
L’art. 600 ter C.p., ha subito ulteriori interventi per effetto del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni dalla L. 23 aprile 2009, n. 38; del D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119, ma soprattutto della L. 1 ottobre 2012, n. 172 che ha ratificato ed eseguito la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, firmata a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
In virtù della L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, lett. h), per quanto qui interessa, l’art. 600 ter C.p., comma 1, è stato modificato come segue: “E’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da Euro 24.000 a Euro 240.000 chiunque 1) utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico; 2) recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto“.
Sono stati poi aggiunti due commi alla norma, il sesto ed il settimo.
Il sesto recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da Euro 1.500 ad Euro 6.000“.
Il settimo contiene la definizione di pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
L’art. 600 ter C.p., si articola, dunque, su una pluralità di ipotesi di reato tra loro autonome e diversamente strutturate, ordinate secondo un criterio gerarchico di gravità decrescente ricavabile dalle clausole di esclusione contenute nei commi 3 e 4, nonchè di graduazione delle pene edittali.
Il legislatore ha così inteso realizzare un sistema che, nel suo complesso, assicuri la più ampia tutela del minore sanzionando non solo chi ha con lo stesso un rapporto finalizzato alla produzione del materiale erotico, ma anche colui che, pur non abusando direttamente della persona del minore, con la sua domanda alimenta l’offerta e la mercificazione del minore stesso.
In sè la norma appare, dunque, completa ed esente da imprecisioni, indeterminatezze o contraddizioni.
Il comma 1, ha riguardo, infatti, alla fase di realizzazione del materiale pornografico mediante utilizzo del minore, nonchè al reclutamento ed all’induzione del minore stesso; il comma 2 alla condotta “di chi fa commercio del materiale di cui al comma 1“; il comma 3 reprime le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, ovvero di distribuzione, divulgazione o diffusione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale del minore; il comma 4 sanziona, infine, quei comportamenti di offerta o cessione a terzi, a titolo oneroso o gratuito, del materiale pornografico.
La definizione del materiale pornografico, rilevante per tutti i commi dell’art. 600 ter c.p., la si ricava dal comma 7 in precedenza citato.
Tutti i reati in questione hanno natura comune e possono essere commessi anche da minori in danno di altri minori.
Le questioni poste nell’ordinanza di rimessione impongono anzitutto di ritornare sull’esegesi dell’art. 600 ter C.p., comma 1, con specifico riferimento alla previsione “produce materiale pornografico“.
Al riguardo occorre chiarire in premessa che la formulazione del comma 1 sul punto presuppone indubbiamente la diversità dell’autore della condotta dal soggetto ripreso, difettando diversamente l’elemento costitutivo dell’utilizzo del minore da parte di un soggetto terzo, cui fa riferimento l’art. 600 ter C.p., comma 1, (Cass., Sez. 3, n. 11675 del 18/2/2016; Sez. 3 n. 34357 del 11/4/2017).
Rimane, pertanto, esclusa dal concetto di produzione penalmente rilevante, ai sensi del comma 1, “l’autoproduzione” del materiale da parte del minore.
Ciò posto si deve rilevare che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 51815 del 31/5/2018, hanno affermato che “ai fini dell’integrazione del reato di produzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 ter C.p., comma 1, non è richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale“.
E’ stato così superato l’orientamento in precedenza espresso da Sez. U 31/5/2000, n. 13.
Nell’occasione le Sezioni Unite avevano argomentato che “poichè il delitto di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter C.p., comma 1, – mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia – ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto“.
La sentenza, in una realtà in cui la captazione dell’immagine non implicava necessariamente la successiva diffusione, riteneva che l’espressione “produce materiale pornografico” contenuta nell’art. 600 ter C.p., comma 1 n. 1), stesse ad indicare che, per l’integrazione del reato, il materiale doveva essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia.
E, dunque, rimanevano escluse dall’ambito applicativo dell’art. 600 ter C.p., comma 1, le ipotesi nelle quali mancava il pericolo concreto di circolazione del materiale stesso.
Il più recente orientamento espresso da Sez. U, n. 51815 del 2018 costruisce, invece, la fattispecie in termini di reato di danno, muovendo dalla diversa premessa che l’attualità impone di considerare la “pervasivi influenza delle moderne tecnologie della comunicazione, che ha portato alla diffusione di cellulari smart-phone, tablet e computer dotati di fotocamera incorporata e ha reso normali il collegamento ad Internet e l’utilizzazione di programmi di condivisione di reti sociali“.
Sul piano ermeneutico si nega l’autonomia concettuale della nozione di produzione rispetto a quella di realizzazione, rilevando che a quest’ultimo termine il legislatore ricorre in maniera alternativa negli artt. 600 quater e 600 quater.1 C.p. per indicare la creazione di materiale pornografico.
L’art. 600 quater C.p., ha riguardo alla condotta di chi “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori“, mentre l’art. 600 quater 1 C.p., concerne il “materiale pornografico che rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori“.
Valenza centrale viene, invece, attribuita dal più recente orientamento alle modalità di realizzazione del materiale pornografico. Si è rilevato in proposito che la nozione di “utilizzazione” evoca la strumentalizzazione del minore e la sua riduzione a res per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti o per conseguire un utile.
La “utilizzazione” del minore circoscrive l’ambito applicativo del reato dell’art. 600 ter C.p., comma 1, e lede il bene giuridico tutelato dalla norma, identificabile nella immagine, nella dignità e nel corretto sviluppo psico fisico dello stesso minore.
Le conclusioni cui perviene la sentenza n. 51815 del 2018 poggiano su premesse ermeneutiche inconfutabili.
Il termine “utilizzando” contenuto nella formulazione attuale dell’art. 600 ter C.p., comma 1, ha sostituito il termine “sfruttare” presente nell’originaria stesura della norma per chiarire, che l’assoggettamento del minore non deve essere necessariamente determinato da finalità di lucro.
Richiede, tuttavia, pur sempre, sul piano concettuale, la verifica della condizione di asservimento del minore per un vantaggio altrui.
La nozione di utilizzazione, con la quale il legislatore ha inteso circoscrivere la sfera applicativa della disposizione in esame, ha portata più ristretta rispetto al concetto di “impiego” evocato, nel medesimo capo, all’art. 600 octies C.p., per indicare la condotta di “chi si avvale” del minore.
Se ricorre la “l’utilizzazione” del minore nessuna valenza – esimente o scriminante – può essere riconosciuta al suo consenso. In questo caso, infatti, il consenso non può essere ritenuto libero e si presume determinato proprio dall’abusività della condotta dell’adulto. In quest’ottica si spiega la mancanza di alcun riferimento, nel corpo dell’art. 600 ter C.p., comma 1, al consenso del minore cui, invece, attribuiscono rilievo le Convenzioni internazionali che riconnettono la liceità della condotta dell’adulto al “consenso” del minore, purchè non ottenuto mediante comportamenti “abusivi” dell’adulto.
Si richiama, al riguardo, l’art. 20, par. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuali conclusa a Lanzarote il 25 ottobre 2007 secondo il quale “Le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettere a ed e alla produzione e al possesso di materiale pedopornografico raffigurante minori che abbiano raggiunto l’età fissata in applicazione dell’art. 18, paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per loro uso privato“.
Nella medesima ottica deve essere, inoltre, ricordato l’art. 3, par. 2 della Convenzione GAI/2003/68 che consentiva agli Stati di prevedere la non punibilità della condotta di produzione del materiale pornografico “nel caso di produzione e possesso di immagini di bambini che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale prodotte e detenute con il loro consenso e unicamente a uso privato“. La medesima disposizione precisava, tuttavia, “che, anche nel caso in cui sia stabilita l’esistenza del consenso, questo non può essere considerato valido se, ad esempio, l’autore del reato l’ha ottenuto avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità, stato sociale, posizione, esperienza, ovvero abusando dello stato di dipendenza della vittima dall’autore“.
La Direttiva 2011/93/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che ha sostituito la decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio all’art. 8, comma 3, prevede solamente la facoltà per gli Stati di non attribuire rilevanza penale alla “produzione, all’acquisto o al possesso di materiale pedo-pornografico in cui sono coinvolti minori che abbiano raggiunto l’età del consenso sessuale nei casi in cui tale materiale è prodotto e posseduto con il consenso di tali minori e unicamente a uso privato delle persone coinvolte, purchè l’atto non implichi alcun abuso“.
La interpretazione dell’art. 600 ter C.p., comma 1, operata dalla sentenza n. 51815 del 2018 non determina, in realtà, sul piano sostanziale effetti diversi da quelli perseguiti dalle Convenzioni internazionali, in quanto le condizioni per escludere la validità del consenso del minore rilevano comunque sul piano interno per la verifica dell’elemento della “utilizzazione del minore“.
Va, dunque, ribadito, anche in questa sede, quanto già affermato da Sez. U, n. 51815 del 2018 e, cioè, che “il discrimine fra il pena/mente rilevante e il penalmente irrilevante…non è il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’utilizzazione“.
In una linea di continuità con quanto già affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 51318 del 31/5/2018) è possibile affermare che, dalla sfera applicativa della previsione dell’art. 600 ter C.p., comma 1, fuoriesce, dunque, soltanto la produzione di materiale pornografico realizzato senza la “utilizzazione” del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l’età per manifestarlo.
Con riguardo al primo profilo, il termine “utilizzazione” sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso facendone uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento. Con specifico riferimento al secondo aspetto è richiesto al giudice un attento e rigoroso accertamento del contesto in cui è stato espresso il consenso del minore ed una verifica specifica per escludere che lo stesso sia stato inficiato da condizionamenti.
Ciò posto, come evidenziato anche nell’ordinanza di rimessione, si deve rilevare che la sentenza n. 51815 del 2018 ha già indicato una serie di elementi dai quali è possibile ricavare la condizione di “utilizzazione” del minore.
Essi sono stati individuati nella abusività della condotta connessa alla posizione di supremazia rivestita dal soggetto agente nei confronti del minore; nelle modalità con le quali il materiale pornografico viene prodotto (ad esempio, minaccia, violenza, inganno); nel fine commerciale; nell’età dei minori coinvolti, se inferiore a quella prevista per la valida formulazione del consenso sessuale.
In successive decisioni si è precisato che il concetto di utilizzazione “presuppone la ricorrenza di un differenziale di potere tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato, tale da generare una strumentalizzazione della sfera sessuale di quest’ultimo” (Cass., Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020) e si è affermato, inoltre, che non rileva la “familiarità alla divulgazione delle proprie immagini erotiche in quanto la stessa è spesso sintomo della particolare fragilità del minore” (Cass., Sez. 3, n. 2252, del 23/10/2020, cit.; Sez. 3, n. 1509 del 16/10/2018).
L’indicazione contenuta nella sentenza n. 51815 del 2018 ha carattere necessariamente esemplificativo.
Il Collegio ritiene in questa sede di evidenziare che la declinazione del concetto di “utilizzazione del minore” deve armonizzarsi e trovare coerenza interpretativa con le disposizioni contenute nel Titolo XII, Capo III “dei delitti contro la libertà individuale“, Sezione I “dei delitti contro la personalità individuale” e Sezione II “dei delitti contro la libertà personale“, rientrando in una comune logica di sistema sorretto dalle medesime finalità.
La relazione al Parlamento per gli anni 1998/1999 sullo stato di attuazione della L. 3 agosto 1998, n. 269, che ha introdotto nel codice la normativa sulla pedopornografia e sulla prostituzione minorile, precisa che la stessa tiene conto “non solo della L. 3 agosto 1998, n. 269, ma anche della L. 15 febbraio 1996, n. 66, sulla violenza sessuale in quanto i problemi affrontati dalle due leggi sono strettamente connessi; gli obiettivi da perseguire – consistenti in sostanza nella tutela dell’integrità non solo fisica ma anche psichica dei soggetti più esposti all’aggressione ed allo sfruttamento – non possono non essere comuni e si sovrappongono spesso nella eziologia come nelle specifiche manifestazioni; gli interventi, sia di aiuto alle vittime sia repressivi, sono caratterizzati da analoga ispirazione e da omologhe metodologie…” A riprova di ciò l’art. 602 quater C.p., introdotto nell’ordinamento dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172, ha esteso anche ai reati in materia di pornografia la regola contenuta nell’art. 609 sexies c.p., secondo cui “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile” e sono state introdotte nel codice disposizioni comuni per prevenire l’insorgenza dei fenomeni di prostituzione minorile, pedopornografia e violenza sessuale sui minori.
Assumono specifico rilievo in proposito le seguenti disposizioni:
– art. 600 ter C.p., comma 3: “Chiunque…pubblicizza il materiale pornografico di cui al comma 1, ovvero distribuisce o divulga, diffonde notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori di anni 18“;
– art. 414 bis C.p., (Istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia) “chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga a commettere, in danno di minorenni, uno o più delitti previsti dagli artt. 600 bis, 600 ter e 600 quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui agli artt. 600 quater 1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater e 609 quinquies“;
– art. 609 undecies C.p., (Adescamento di minorenni) che ricorre ad una formulazione sostanzialmente sovrapponibile a quella dell’art. 414 bis c.p., per sanzionare “Chiunque…. adesca un minore di anni sedici“.
Le disposizioni contenute nel Capo III del Titolo XII perseguono anzitutto la finalità di assicurare che la determinazione del minore sia “libera ed incondizionata” nelle scelte di natura sessuale.
Assumono, pertanto, rilevanza penale quelle condotte finalizzate alla coercizione della volontà del minore determinate da costringimento, inteso come abuso o approfittamento delle sue condizioni, o da induzione e, cioè, attraverso il condizionamento delle scelte.
La disposizione principale per definire i limiti del consenso del minore in relazione alla sua sfera sessuale è rappresentata dall’art. 609 quater C.p., recentemente modificato dalla L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20, che disciplina il consenso del minore.
Il comma 1, recita:” Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici;“.
Attraverso l’incipit “Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste da detto articolo” indica una serie di situazioni nelle quali l’accordo del minore è da ritenere inesistente, in quanto sicuramente viziato dalla situazione di costrizione in cui versa. Assumono, in particolare, rilevanza le condotte di violenza, minaccia, abuso di autorità, abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto e l’inganno per essersi il colpevole sostituito ad altra persona, indicati nell’art. 609 bis C.p.
Sempre all’art. 609 quater C.p., comma 1, al n. 2), vengono poi elencate altre situazioni che per la natura del rapporto esistente con l’autore del reato escludono anch’esse qualsiasi validità al consenso del minore infrasedicenne che “non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza“.
Per il minore che abbia compiuto i sedici anni la norma richiede al comma 2, che sostanzialmente riproduce la formulazione del comma 1, n. 2), l’abuso dei poteri connessi all’esercizio dei compiti di vigilanza, educazione, ecc..
La L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20, ha introdotto, dopo l’art. 609 quater C.p., comma 2, un’ulteriore previsione, anch’essa rilevante, che ha riguardo all’abuso della fiducia del minore: “Fuori dai casi previsti dai commi precedenti, chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità è punito….“.
Sul concetto di abuso di autorità erano peraltro già intervenute le Sezioni Unite di questa Corte precisando che “In tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità…presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali” (Sez. U, n. 27326 del 16/07/2020).
L’art. 609 quater C.p., dunque, già consente di evidenziare una serie di contesti nei quali la volontà del minore deve ritenersi certamente coartata e, pertanto, nel caso in cui ricorrano le condizioni di approfittamento, di abuso di poteri o di fiducia al momento della richiesta formulata al minore di riprendere o registrare immagini della sua sfera sessuale, si versa certamente in ipotesi di “utilizzazione” del medesimo.
Il contesto normativo del Capo III, Titolo XII impone di aggiungere alla elencazione dei casi nei quali la volontà del minore non può essere ritenuta scevra da condizionamenti, la dazione o la promessa di denaro in cambio dell’attività di ripresa o di registrazione delle immagini e l’approfittamento delle condizioni di natura economica del minore.
E’ indubbio che la volontà del minore subisca forte condizionamento per effetto della dazione di corrispettivo di denaro o di altra utilità, anche se solo promessa. Occorre in proposito richiamare l’art. 600 bis C.p., comma 2, (Prostituzione minorile): “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilità economica, è punito…“.
Tale disposizione persegue la finalità di reprimere anche isolati episodi di mercimonio muovendo dal presupposto della incapacità del minore ad opporsi validamente alla offerta di denaro o di altre utilità per la condizione di particolare fragilità in cui versa e che, infatti, non trova corrispondenza nella normativa relativa alla prostituzione del maggiorenne.
L’insidiosità dell’approfittamento delle condizioni economiche del minore, tanto più se assurgano a vero e proprio stato di necessità, si desume dall’intero panorama normativo di riferimento.
L’art. 602 ter C.p., comma 4, nei casi previsti dall’art. 600 bis C.p., commi 1 2, art. 600 ter C.p., comma 1, e art. 600 quinquies C.p., prevede, infatti, un aggravamento di pena “se il fatto è commesso approfittando della situazione di necessità del minore“. La L. 23 dicembre 2021, n. 238, art. 20, ha introdotto una specifica circostanza aggravante all’art. 609 quater, comma 3, “se il compimento degli atti sessuali con il minore degli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solamente promessa“.
Va da sè che anche nei casi da ultimo indicati, per le ragioni in precedenza espresse, debba essere esclusa qualsiasi rilevanza al consenso del minore per le riprese o le registrazioni dei suoi aspetti di intimità sessuale.
Anche le condotte induttive rilevano per la nozione di “utilizzazione” del minore.
Si è già affermato al riguardo che “l’utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l’agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale (ad esempio scattando fotografie dal contenuto erotico) ma anche quando induca o istighi a tali azioni il minore” (Cass., Sez. 3, n. 2252 del 23/10/2020) e che “risponde del delitto di pornografia minorile, punito dall’art. 600 ter C.p., comma 1, n. 1, anche colui che, pur non realizzando materialmente la produzione di materiale pedopornografico, abbia istigato o indotto il minore a farlo, facendo sorgere in questi il relativo proposito, prima assente, ovvero rafforzando l’intenzione già esistente, ma non ancora consolidata, in quanto tali condotte costituiscono una forma di manifestazione dell’utilizzazione del minore, che implica una strumentalizzazione del minore stesso, sebbene l’azione sia posta in essere solo da quest’ultimo” (Cass., Sez. 3, n. 26862 del 18/04/2019).
Il concetto di istigazione viene inteso nelle sentenze citate come rafforzamento di un proposito già presente nel minore, in linea con l’orientamento espresso in altre decisioni della Corte (Sez. 4, n. 38107 del 17/09/2010).
Con il termine di induzione si è voluto, invece, avere riguardo al caso in cui la determinazione del minore dipenda esclusivamente dalla condotta dell’agente.
Sulle modalità dell’induzione, in mancanza di decisioni che abbiano esaminato specificamente la questione in relazione all’art. 600 ter C.p., potrà aversi riguardo, per la sovrapponibilità dei profili di interesse in questa sede, agli approdi cui si è pervenuti con riferimento all’art. 600 bis c.p., che, al comma 1, n. 1, sanziona la condotta di chi “recluta o induce alla prostituzione persona di età inferiore agli anni diciotto“.
In quel contesto l’induzione è stata descritta come “quell’attività, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione“, con la precisazione che “l’opera di convincimento può consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa della valutazione del minore” (Sez. U, n. 16207 del 19/12/2013).
Le disposizioni relative alla pornografia ed alla prostituzione minorile sono accomunate dalla necessità di proteggere il minore da richieste legate a fenomeni di perversione sessuale, a volte interdipendenti, potendo essere la produzione di materiale pornografico uno degli epiloghi del fenomeno della prostituzione del minore.
Le tecniche di persuasione del minore per raggiungere l’obiettivo possono essere comuni, in quanto finalizzate allo sfruttamento ed all’approfittamento della condizione di fragilità del minore necessariamente più sensibile a forme di pressioni subdole da parte dell’adulto.
L’esegesi della nozione di “utilizzazione” non può, inoltre, prescindere da una specifica riflessione sulla maturità del minore.
E’ importante rilevare che al Capo III del titolo XII il legislatore opera più volte la distinzione tra minore infra-quattordicenne, ultra-quattordicenne ma infra-sedicenne, e ultra-sedicenne in rapporto alla gradualità dello sviluppo del minore.
Questa differenziazione, che si coglie anzitutto nell’art. 609 quater C.p., come in precedenza evidenziato, assume carattere di generalità per i reati di pornografia e di prostituzione minorile.
Indicative al riguardo sono le seguenti previsioni normative:
– art. 600 ter C.p., comma 5, che per i casi previsti dall’art. 600 bis C.p., commi 1 e 2, art. 600 ter C.p., comma 1, e art. 600 quinquies C.p., prevede un aggravamento di pena “se il fatto è commesso in danno di un minore degli anni sedici“;
– art. 602 ter C.p., comma 6, che, anche per i reati di cui agli artt. 600 bis e 600 ter C.p., detta i criteri di aggravamento della pena per situazioni omologhe a quelle indicate nell’art. 609 quater C.p.
Va rilevato, inoltre, che proprio per rafforzare la tutela del minore infrasedicenne, il legislatore, recependo le indicazioni delle Convenzioni internazionali, ha introdotto una specifica disposizione di “sbarramento” finalizzata a prevenire iniziative rivolte al coinvolgimento del minore stesso nei contesti della pornografia e della prostituzione minorile. Si tratta dell’art. 609 undecies C.p. (Adescamento di minorenni) che recita:
“Chiunque allo scopo di commettere i reati di cui agli artt. 600, 600 bis, 600 ter e quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600-quater, 1, 600 quinquies,…adesca un minore di anni sedici, è punito…“.
La tutela rafforzata del minore per la fascia di età ricompresa tra il quattordicesimo ed il sedicesimo anno di età comporta la necessità di una più specifica analisi dei fattori di condizionamento della sua volontà nell’assentire le richieste dell’adulto.
Sul piano sistematico e concettuale non è possibile pervenire ad una assimilazione del minore infraquattordicenne a quello infrasedicenne, ma è indubbio che anche per quest’ultimo è molto elevato il rischio di condizionamento per il grado di maturità necessariamente limitato in quella fase dello sviluppo psico-fisico. Ed allora l’accertamento sulla “utilizzazione” del minore infrasedicenne deve essere particolarmente rigoroso. Esso richiede un’attenta valutazione in ordine all’abuso del rapporto di fiducia da parte dell’adulto – specificamente evocato nella nuova formulazione dell’art. 609-quater C.p. – ed alle modalità di convincimento cui lo stesso ha fatto ricorso, parametrando le pressioni e l’insidiosità degli artifici necessari a vincere la resistenza psicologica del minore alla sua limitata capacità di cogliere le situazioni per sè svantaggiose.
Si ritiene utile richiamare in proposito la definizione del concetto di adescamento contenuta dell’art. 609 undecies C.p., sintetizzata “in qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce“.
La necessità di un’attenta verifica di tutti gli aspetti sinora illustrati è indispensabile anche in presenza di una relazione affettiva tra adulto e minore.
Si rende, infatti, necessario verificare specificamente che l’adulto non abbia vinto le resistenze del minore inducendolo a superare le proprie riluttanze tramite tecniche di manipolazione psicologica e di seduzione affettiva, sfruttando la superiorità in termini di età, esperienza, posizione sociale o la condizione di inferiorità del minore. Quest’ultimo, nell’ambito della relazione, è suscettibile di essere esposto a varie forme di condizionamento che includono il “ricatto affettivo“, potendo l’adulto fare leva sulla paura dell’abbandono, sul “senso del dovere“, sulla colpevolizzazione del rifiuto o su paragoni impropri, per raggiungere il proprio obiettivo. E’ inoltre importante verificare anche che il minore non sia rimasto vittima, nell’assentire le richieste dell’adulto, di minacce velate o di altre pressioni subdole o insidiose.
L’accertamento della condizione di “utilizzazione” nell’ambito di un rapporto tra minori richiede il confronto con un contesto necessariamente più fluido, fatto di rapporti più difficilmente inquadrabili. Le riprese o le registrazioni possono essere determinate da motivazioni diverse rispetto a quelle rinvenibili nel rapporto adulto-minore, quali l’esibizionismo, la vanteria, o altro. Per l’età ravvicinata dei protagonisti manca, infine, una figura di riferimento per definizione “prevalente“.
A riprova di ciò l’art. 609 quater C.p., comma 3, fatti salvi i casi di violenza, esclude la punibilità del minore che compia atti sessuali con altro minorenne che abbia raggiunto i tredici anni – e che, dunque, non abbia nemmeno l’età per prestare il consenso sessuale -, alla sola condizione che la differenza di età tra i minori non sia superiore ai tre anni.
Il consenso del minore all’atto sessuale non include di per sè anche quello alla registrazione dell’attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica.
Tale attività, pure riconducibile all’autonomia sessuale del minore, rappresenta un quid che si aggiunge all’atto sessuale, come già rilevato in alcune decisioni della Corte (Sez. 3 n. 16616 del 23/3/2015).
Si rende, dunque, necessario che il minore esprima il proprio consenso anche in relazione alla ulteriore attività di ripresa delle immagini.
Tale aggiuntiva richiesta potrebbe, infatti, trovare nel minore resistenze determinate, ad esempio, dal timore che il materiale realizzato possa essere successivamente diffuso, da remore di ordine morale o di altra natura.
Fino a quando non si sia proceduto alle riprese il minore rimane libero di revocare l’iniziale consenso. Se l’adulto prosegue nell’attività di ripresa o di registrazione, nonostante la revoca da parte del minore dell’iniziale consenso, ricorre senz’altro la condizione di “utilizzazione” di quest’ultimo.
Il consenso del minore deve necessariamente avere riguardo, inoltre, anche alla successiva conservazione delle immagini da parte di chi le ha realizzate nell’ambito della relazione o del rapporto.
Vanno richiamate in proposito anzitutto le disposizioni sulla tutela dei dati personali.
Il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 23, (Codice in materia di protezione dei dati personali) recita: “1. Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato.” L’art. 4 (Definizioni) precisa che: “1. Ai fini del presente codice si intende per: a) “trattamento”, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, di dati, anche se non registrati in una banca di dati“.
Alla lettera d) include, inoltre, i dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona tra quelli sensibili: “d) “dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale…, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.” L’art. 9, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE (Regolamento generale sulla protezione dei dati) – Trattamento di categorie particolari di dati personali – dispone che: “1. È vietato trattare dati relativi…. alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.” ed evoca al par. 75 del preambolo i rischi peri diritti e le libertà delle persone fisiche che possono derivare dal trattamento dei dati personali – tra i quali espressamente menziona quelli relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona – in quanto suscettibili di cagionare un danno fisico, materiale o immateriale a quest’ultima.
La mancanza del consenso assume autonoma rilevanza penale in base al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, cit. (Trattamento illecito di dati): “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli artt. 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’art. 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione…“.
Al minore l’ordinamento interno ha, inoltre, da ultimo riconosciuto il diritto di cautelarsi contro il rischio di diffusione delle immagini rivolgendosi direttamente al Garante per la protezione dei dati personali.
Il D.L. 8 ottobre 2021, n. 139, art. 9, comma 1, lett. e), convertito dalla L. 3 dicembre 2021, richiamando il predetto Regolamento UE, ha introdotto, infatti, nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, l’art. 144 bis che al comma 1, recita:” 1. Chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso ha facoltà di segnalare il pericolo al Garante, il quale, nelle quarantotto ore dal ricevimento della segnalazione, decide ai sensi degli artt. 143 e 144, del presente codice.“.
A prescindere dalla autonoma rilevanza penale che la conservazione delle immagini senza il consenso del minore può assumere in relazione alla violazione del Codice in materia di protezione dei dati personali, si osserva che il mancato accordo del minore alla conservazione delle immagini specificamente incide anche sulla valutazione in ordine alla “utilizzazione” del medesimo.
Il disaccordo del minore sulla conservazione dei dati, inficia, infatti, anche l’iniziale consenso di quest’ultimo alle riprese, in quanto concordate sulla base di premesse diverse in ordine ad un aspetto importante, essendo insito nella conservazione delle immagini il rischio di una loro successiva diffusione.
Per la validità del consenso del minore alla conservazione dei dati da parte dell’adulto, valgono evidentemente le considerazioni sviluppate nei precedenti paragrafi.
Si rende anche per questo aspetto necessario assicurare che il consenso del minore sia stato effettivamente consapevole e libero, scevro, cioè, da influenze da parte dell’adulto derivanti da abuso o approfittamento delle condizioni del minore stesso.
Al principio “volenti non fit iniuria” va contrapposta, infatti, l’ispirazione pubblicistica della norma penale, indice della risonanza collettiva dell’interesse alla tutela dello sviluppo psico-fisico del minore.
Si può conclusivamente affermare il seguente principio:
Si ha “utilizzazione” del minore allorquando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso“.
L’ordinanza di rimessione mette, inoltre, in guardia da eventuali vuoti di tutela con riferimento al rapporto intercorrente tra il comma 1 ed i successivi commi 2, 3 e 4. dell’art. 600 ter C.p., aventi ad oggetto, questi ultimi, la circolazione e la diffusione del materiale pedopornografico.
Il riferimento contenuto in ciascuno dei commi al “materiale di cui al comma 1” potrebbe lasciare intendere, infatti, secondo l’ordinanza di rimessione, che il divieto di commercializzazione, distribuzione, divulgazione, diffusione, cessione, ecc. non possa essere esteso al materiale realizzato nell’ambito della “pornografia domestica“, in quanto il comma 1 fa riferimento esclusivo al materiale prodotto attraverso l’utilizzazione del minore.
In merito al rapporto che intercorre tra il comma 1 e quelli successivi dell’art. 600 ter C.p., nell’affermare, da ultimo, che “Il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 4, è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore” (Cass., Sez. 3, n. 5522 del 21.11.2019; Sez. 3, n. 36198 del 11/06/2021), ha svolto importanti considerazioni.
Ha precisato nell’occasione che “l’art. 600 ter C.p., commi 2, 3 e 4, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1, non richiamano l’intera condotta delittuosa del comma 1, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione del materiale pedopornografico. E’ necessario e sufficiente che oggetto dell’offerta o della cessione sia il materiale pedopornografico realizzato o prodotto, e non il reato di produzione pornografica“.
Secondo la decisione in esame non rilevano, dunque, per l’art. 600 ter C.p., commi 2, 3 e 4, le modalità di produzione, bensì le caratteristiche del materiale prodotto e l’inclusione di esso nella nozione di pornografia dettata al comma 7, che comprende “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali“.
Le motivazioni di questo orientamento sviluppano un percorso argomentativo sicuramente condivisibile per i profili che in questa sede rilevano.
Vengono richiamati, tra gli altri, l’art. 5, della Direttiva 2011/92/UE che, nel prevedere il divieto di circolazione, fa riferimento unicamente al materiale pornografico prescindendo dalle modalità della sua realizzazione e l’art. 612 ter C.p., – introdotto dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 – che, per la cessione a terzi di immagini o video sessualmente espliciti, prescinde anch’esso dalle modalità di realizzazione.
E’ indubbio, inoltre, che, come affermato dalla Terza Sezione, la tipologia del materiale cui si intende fare riferimento nei commi 2, 3 e 4, sia quella definita dall’art. 600 ter C.p., comma 7.
La questione di fondo esaminata nelle citate decisioni, tuttavia, va oltre la problematica che in questa sede occorre affrontare.
La Corte, infatti, è stata chiamata in quelle decisioni a valutare se anche il materiale “autoprodotto” dal minore possa essere ricompreso nelle fattispecie dei commi 3 e 4, per effetto del richiamo “al materiale del comma 1″, essendosi in altre decisioni affermato che “In tema di pornografia minorile, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 600 ter c.p., comma 3, è necessario che il produttore del materiale pornografico sia persona diversa dal minore raffigurato” (Cass., Sez. 3, n. 34357 del 11/04/2017).
Non si rende, tuttavia, necessario in questa sede procedere all’approfondimento specifico della questione affrontata in quelle sentenze, in quanto la definizione di “pornografia domestica“, nell’accezione indicata nella sentenza delle Sez. U, n. 51815 del 2018, si riferisce solo al materiale etero prodotto.
Il presupposto necessario della “pornografia domestica” è, come detto in precedenza, che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto.
Esso non può mai, dunque, essere posto in circolazione.
Se tale ultima condizione si avvera, il minore, ancorchè non “utilizzato” nella fase iniziale, deve essere ritenuto strumentalizzato, come evidenziato anche in dottrina, successivamente, e, cioè, nella fase di cessione o diffusione delle immagini.
E, dunque, il materiale realizzato, se posto, in circolazione, deve essere ritenuto – indipendentemente dal momento della realizzazione e da chi ne procuri la diffusione – prodotto attraverso la “utilizzazione” del minore.
Questa ricostruzione comporta che, se la circuitazione del materiale abusivamente prodotto è contestuale o, comunque, anche se successiva, sin dall’inizio voluta da chi lo ha realizzato, ricorre senz’altro la fattispecie dell’art. 600 ter C.p., comma 1.
Se, invece, la circolazione del materiale è frutto di successiva determinazione di chi lo ha creato, dovranno trovare applicazione i commi seguenti dell’art. 600 ter C.p.. In questo caso deve essere escluso, infatti, che possa rivivere la disposizione del comma 1, in quanto si tratterebbe di restituire tipicità ad una condotta che tipica non era al momento della realizzazione del materiale.
Come detto in precedenza, l’art. 600 ter C.p., è articolato su una pluralità di fattispecie incriminatrici indipendenti l’una dall’altra ed ordinate secondo una scala di disvalore e l’incriminazione di una condotta è subordinata alla circostanza che essa non integri già di per sè reato in base alle fattispecie previste nei commi precedenti. Lo stesso meccanismo regola la norma di “chiusura” dell’art. 600 quater C.p., rispetto all’art. 600 ter C.p.
La circostanza che colui che realizza il materiale non debba rispondere del reato del comma 1, poichè la condizione di “utilizzazione” del minore si è solo successivamente realizzata, implica l’imputazione di responsabilità per i commi successivi, in quanto la clausola di esclusione dell’incipit dei commi 3 e 4, “al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al comma 2“, vale solo nel caso in cui il produttore sia concretamente punibile.
Diversamente argomentando, infatti, verrebbe completamente frustrata la finalità di fondo del sistema articolato sugli artt. 600 ter e quater C.p., che persegue la tutela del minore attraverso un meccanismo che condensa l’intero spettro delle condotte punibili, che vanno dalla produzione alla detenzione del materiale realizzato, senza vuoti di tutela, basato su un meccanismo di assorbimento delle ipotesi meno gravi in quelle di maggiore gravità.
La responsabilità dell’adulto per la successiva diffusione del materiale resterà esclusa solo per eventi imprevedibili a lui non imputabili e solo nel caso dimostri di avere adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuto impedire.
Se la circolazione del materiale realizzato sarà imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incomberà su quest’ultimo.
L’art. 600 ter C.p., per tutte le ipotesi regolate ai commi 3 e 4, fa indistintamente riferimento, infatti, a “chiunque” e non consente, dunque, di operare distinzioni tra minore ed adulto. Rimane ovviamente esclusa la diffusione strumentale a denunce o alla tutela dei diritti del minore.
Non rileva, infine, che la richiesta di divulgazione del materiale provenga o sia comunque assentita dal minore.
Quest’ultimo, infatti, non può mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato, come condivisibilmente da ultimo riaffermato anche da Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, cit. Ciò in quanto soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturità tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute negative della mercificazione del suo corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche, anche in considerazione del fatto che la circolazione stessa potrebbe essere ritardata nel tempo rispetto al momento della realizzazione delle immagini o dei video.
In più va considerato che, come si rileva dalla formulazione dell’art. 600 ter C.p., comma 3, l’interesse tutelato non è unicamente individuale e, cioè, circoscritto ai soli minori materialmente utilizzati, rilevando anche quello collettivo e, cioè, di tutti i minori, anche non direttamente coinvolti.
Attraverso l’art. 600 ter C.p., il legislatore ha inteso evidentemente scongiurare, infatti, che i minori siano ridotti a mero strumento di soddisfazione sessuale subendo un processo trainante di avvicinamento ad un fenomeno degradante anche per effetto della desensibilizzazione prodotta dalla visione delle immagini poste in circolazione.
Si deve dunque affermare il seguente principio di diritto:
“La diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter C.p., commi 3 e 4, ed il minore non può prestare consenso ad essa”.
Corte di Cassazione, Sez. III, ord. n. 25334, del 22 aprile 2022.