La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si pronuncia in merito al rifiuto ad una coppia da parte delle autorità italiane di trascrivere nei pubblici registri il certificato di nascita del loro bambino nato in Russia a seguito di maternità surrogata.
Il certificato di nascita era stato rilasciato dalle autorità russe competenti. Le autorità italiane avevano negato la trascrizione in quanto a seguito del test del DNA era risultato che non vi erano legami genetici tra il minore e i presunti genitori.
Ciò ha comportato l’ allontanamento e la presa in carico del minore da parte dei servizi sociali.
Se è vero che non è stato stabilito alcun legame genetico tra il ricorrente e il minore, tuttavia, la Corte rammenta che l’articolo 8 della Convenzione tutela non soltanto la “vita famigliare”, ma anche la “vita privata”.
Quest’ultima comprende, in una certa misura, il diritto per l’individuo di allacciare delle relazioni con i suoi simili e non c’è alcuna ragione di principio per considerare che la nozione di vita privata escluda un legame giuridico tra un minore nato fuori dal matrimonio e il suo genitore.
La Corte rammenta che, per un genitore e suo figlio, stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita famigliare e che le misure interne che glielo impediscano costituiscono una ingerenza nel diritto tutelato dall’articolo 8 della Convenzione.
Tale ingerenza viola l’articolo 8 della Convenzione a meno che, essendo “prevista dalla legge”, non persegua uno o più scopi legittimi rispetto al secondo paragrafo di tale disposizione e sia “necessaria in una società democratica” per raggiungerli.
La nozione di “necessità” implica un’ingerenza che si basi su un bisogno sociale imperioso e che sia in particolare proporzionata al legittimo scopo perseguito.
Inoltre, la legge russa non precisa se sia necessario un legame genetico con almeno uno dei futuri genitori per parlare di maternità surrogata.
Tenuto conto di questi fattori, la Corte non è convinta del carattere adeguato degli elementi sui quali le autorità si sono basate per concludere che il minore doveva essere preso in carico dai servizi sociali.
Ne deriva che le autorità italiane non hanno mantenuto il giusto equilibrio che deve sussistere tra gli interessi in gioco.
In conclusione, la Corte ritiene che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
Tenuto conto che il minore ha certamente sviluppato dei legami affettivi con la famiglia di accoglienza presso la quale è stato collocato, la constatazione della violazione deve essere intesa nel senso di obbligare lo Stato a riconsegnare il minore agli interessati.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO STRASBURGO 27 gennaio 2015