La Suprema Corte di Cassazione ha affermato che poiché il delitto di pornografia minorile di cui al primo comma dell’art. 600 ter C.p. ha natura di reato di pericolo concreto, la condotta di chi impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici è punibile, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, quando abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.
Il delitto di pornografia minorile è un reato mediante il quale l’ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore, reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro, ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e l’immissione nel circuito perverso della pedofilia.
E’ compito del Giudice accertare di volta in volta la configurabilità del predetto pericolo, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta quali l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale atta a corrispondere alle esigenze di mercato dei pedofili, il collegamento dell’agente con soggetti pedofili potenziali destinatari del materiale pornografico, la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o trasmissione, anche telematica idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari, l’utilizzo contemporaneo o differito nel tempo di più minori per la produzione del materiale pornografico, dovendosi considerare la pluralità di minori impiegati non elemento costitutivo del reato ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta , i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile nonché gli altri indizi significativi suggeriti dall’esperienza.
Poiché le nozioni di “produzione” e di “esibizione” contemplate nell’art. 600-ter, C.p., richiedono l’inserimento della condotta in un contesto di organizzazione almeno embrionale e di destinazione, anche potenziale, del materiale pornografico alla successiva fruizione da parte di terzi, deve escludersi che un tale contesto organizzativo e di destinazione possa essere desunto esclusivamente dalla disponibilità di uno strumento oggi in possesso di chiunque, quale un computer solo perché il computer costituisce (al pari di tanti altri) un mezzo con cui le immagini potrebbero in astratto essere diffuse o condivise, tanto più se il computer è privo di programmi di scambio, condivisione o divulgazione di file.
Corte di Cassazione Sent. Num. 40781 Anno 2014