Messa alla prova formulata nel giudizio di rinvio

messa allaLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento si sofferma sull’ammissibilità o meno della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata dinanzi ai giudici di appello, con motivi nuovi, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della precedente sentenza di condanna, essendo nelle more entrata in vigore la legge che la prevede. 

A parere del Supremo Collegio il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio e l’assenza di una disciplina transitoria non consente di superare lo sbarramento introdotto dagli artt. 3 e 4 della Legge 28 aprile 2014, n. 67, preclusivo in ordine alla proponibilità della richiesta nel giudizio di impugnazione.

Tale principio deve trovare applicazione anche nel giudizio di rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio nel quale era già stata affermata l’irrevocabilità della sentenza quanto all’affermazione della responsabilità penale; situazione che non rende praticabile l’applicazione dell’istituto della messa alla prova essendo già completato l’iter processuale divenuto irrevocabile quanto all’affermazione della responsabilità penale e non potendo darsi ingresso ad un iter alternativo al giudizio che si è concluso con l’irrevocabilità dell’affermazione della responsabilità penale.

Tale principio è ribadito anche da recenti pronunce, secondo cui nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione, l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova, di cui all’art. 168-bis C.p., perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un “iter” processuale alternativo alla celebrazione del giudizio.

Il Collegio, nel dare continuità ai principi affermati rileva che, con riferimento alla tematica dell’applicazione retroattiva della lex mitior come risultante dall’interpretazione del disposto dall’art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, secondo cui detto principio va inteso non solo nel senso dell’irretroattività della legge penale più severa, ma anche della retroattività della legge penale meno severa, è intervenuta la sentenza n. 240 del 2015 della Corte Costituzione che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis , comma 2, C.p.P., in riferimento agli artt. 3, 24, 111, e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, non prevede l’ammissione all’istituto della sospensione del procedimento penale con messa alla prova, introdotto dalla Legge n. 67/2014, ai processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della nuova norma.

Secondo i Giudici delle leggi l’art. 464-bis C.p.P. riguarda esclusivamente il processo ed è espressione del principio “tempus regit actum“. Il principio potrebbe essere derogato da una diversa disciplina transitoria, ma la mancanza di questa non è certo censurabile in forza dell’art. 7 della CEDU.

Ha poi riaffermato, il Giudice delle leggi, il principio secondo cui la retroattività della lex mitior, come in generale “le norme in materia di retroattività contenute nell’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo”, concerne le sole “disposizioni che definiscono i reati e le pene che li reprimono”  e perciò “è da ritenere che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità”.

Anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 464 bis, comma secondo, C.p.P., per contrasto all’art. 3 Cost., nella parte in cui non consente l’applicazione dell’istituto della sospensione con messa alla prova ai procedimenti pendenti al momento dell’entrata in vigore della Legge 28 aprile 2014, n. 67, quando sia già decorso il termine finale da esso previsto per la presentazione della relativa istanza anche nell’eventuale giudizio di rinvio, deve essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto trattasi di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore e non palesemente irragionevole.

Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 3 Num. 19973 Anno 2017

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