L’Affidamento in prova al servizio sociale è una misura alternativa alla detenzione e ai sensi dell’art. 47 Legge 26 Luglio 1975, n. 354 “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare“.
Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova (quanto in particolare all’affidamento in prova) e di prevenzione del pericolo di recidiva. Tali considerazioni, peraltro, devono essere inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione – che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi – oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, però, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa ( da ultime, vedi Cass., Sez. 1^ n. 20469 del 23/04/2014 e Sez. 1^, n. 17021 del 09/01/15).
Lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, non costituisce da solo, qualora mancante, condizione ostativa all’applicabilità di detta misura, trattandosi di parametro apprezzabile unitamente agli altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito (Cass., Sez. 1^, n. 5076 del 21/09/1999) e potendo tale requisito essere surrogato da un’attività socialmente utile anche di tipo volontaristico (Cass., Sez. 1^, n. 18939 del 26/02/2013). L’art. 666, comma secondo, C.p.P. – nel prevedere la possibilità di dichiarare de plano l’inammissibilità della richiesta, quando la stessa sia manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge – non è applicabile in tema di affidamento in prova al servizio sociale, nel caso in cui il richiedente non abbia allegato un’attività di lavoro, non rientrando tale elemento tra le condizioni richieste dalla legge per la concessione del beneficio in esame e dovendosi valutare la mancanza di un’occupazione stabile unitamente agli altri elementi riguardanti la personalità del richiedente (Cass., Sez. 1^, n. 43390 del 22/09/2014).
Corte di Cassazione Sez. 1^, n. 31624 Anno 2022