Misura sostitutiva del lavoro di pubblica utilità: interruzione

misura sostitutivaViene sottoposto all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione la questione di diritto sulle conseguenze che possano derivare a seguito della  interruzione del lavoro di pubblica utilità, ed in particolare sulla portata degli effetti del provvedimento di revoca della misura sostitutiva eventualmente adottato.

Occorre chiarire se la revoca della misura sostitutiva abbia effetti ex tunc, nel senso di fare venire meno anche il periodo di utile svolgimento della prestazione, ovvero se debba essere operato un ragguaglio e quindi se debba essere scomputato il periodo di positivo svolgimento dell’attività con ripristino della sola pena residua, una volta operata la conversione.

La normativa contenuta nel D.Lgs. 28.8.2000, n. 274 prevede, all’art. 58, che per ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria.

Si ha dunque riguardo a pene detentive e non a misure alternative alla detenzione, quali quelle previste dall’Ordinamento penitenziario.

Va aggiunto che il decreto suindicato, all’art. 56 dispone che “il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno”.

Da tale previsione è immediato evincere che la violazione delle prescrizioni concernenti le pene sostitutive, configura addirittura gli estremi di un delitto, al pari dell’evasione, cui è fatta seguire una pena.

Ed infatti l’imputato è l’unico titolare della facoltà di richiedere l’applicazione della misura sostitutiva, poiché il suo consenso è il segno della consapevole accettazione delle modalità e delle conseguenze derivanti dalla violazione delle modalità di esecuzione della sanzione del lavoro di pubblica utilità.

Tale realtà normativa porta a ritenere che la non lieve sanzione, in caso di violazione, esaurisca le conseguenze a seguito dell’inadempienza, cosicchè non possa essere l’interessato gravato di ulteriore conseguenza negativa, quale la revoca ex tunc del beneficio, che porrebbe nel nulla l’esito positivo del lavoro sostitutivo svolto in un primo periodo di tempo.

A tale considerazione sembra doversi addivenire, mancando un’esplicita previsione su come il Giudice debba operare a fronte dell’inadempimento, non potendosi mutuare la disciplina prevista negli artt. 47 comma 11 , 47 ter comma 6, 47 quinquies comma 6, 51, 54 dell’Ordinamento Penitenziario (L. 354/1975), relativamente a misure alternative alla detenzione, da tenere distinte dalle pene sostitutive come si è sopra osservato.

Pertanto, la soluzione al quesito va trovata attraverso un’interpretazione di sistema, che parte dai due capisaldi normativi, che sono da un lato la previsione dell’art. 56 D.Lgs. 274/2000, che individua una fattispecie delittuosa in caso di trasgressione alle prescrizione e dall’altra l’art. 58 stesso decreto, che prescrive i criteri di ragguaglio.

Le direttrici delineate dalle due previsioni suindicate impongono di concludere nel senso che in caso di violazione delle prescrizioni in materia di lavoro di pubblica utilità, il trasgressore debba essere chiamato a rispondere del reato previsto dall’art. 56 decreto suindicato, ma l’attività di lavoro compiuta in precedenza, con esito favorevole, dovrà essere apprezzata in termine di espiazione della pena in quel particolare intervallo temporale; il periodo di lavoro residuo dovrà essere tradotto in pena detentiva alla luce dei criteri di ragguaglio di cui all’art. 58 succitato; la pena detentiva residua dovrà essere espiata dall’interessato, una volta riconosciuta come non più eseguibile la misura sostitutiva.

In sostanza la violazione delle prescrizioni relative al lavoro di pubblica utilità fa scattare nell’ordinamento una reazione in parallelo a quella che segue all’evasione, nel senso che la condotta viene apprezzata come reato, ma non pone nel nulla il periodo di pena già espiato.

Se si dovesse opinare diversamente, si giungerebbe alla inammissibile conclusione che al comportamento del condannato inadempiente seguirebbero due livelli di risposta dell’ordinamento, da un lato la sanzione penale per il reato commesso e dall’altro ricadute in termini di prolungamento della durata della pena in espiazione.

Ne consegue il seguente principio di diritto:

alla mancata osservanza delle prescrizioni riguardanti il lavoro di pubblica utilità il Giudice può fare seguire la revoca della sanzione sostitutiva, con conseguente ragguaglio della restante pena da eseguire secondo i criteri di cui all’art. 58 D.Lgs. 274/2000, tenendo fermo il precedente periodo di espiazione a seguito del positivo svolgimento del lavoro sostitutivo, ma con l’applicazione dell’art. 56 D.Lgs. 274/2000.

Corte di Cassazione Sent. Num. 42505 Anno 2014

 

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