Moglie Convivente: disparità di trattamento nell’esecuzione forzata

moglieLa Corte Costituzionale con la sentenza in commento si pronuncia in merito alla legittimità costituzionale dell’art. 622 C.p.C in relazione agli artt. 3, 24 e 29 Cost. che nega alla moglie convivente col debitore il diritto di proporre opposizione al pignoramento di mobili di proprietà di lei, pignorati nella casa coniugale, tranne che si tratti di beni dotali o di beni che si provi con atto di data certa esserle appartenuti prima del matrimonio o esserle pervenuti per donazione o successione a causa di morte.

A fondamento del dubbio di costituzionalità è stato osservato che la norma si risolve nel negare alla moglie la tutela di un proprio diritto, crea disparità di situazioni giuridiche, a seconda che il debito sia del marito o della moglie, perché i beni possono essere distratti dal patrimonio della moglie per il soddisfacimento di debiti personali del marito, mentre i beni del marito non possono essere destinati a garanzia dei creditori personali della moglie: la c.d. presunzione muciana non è più adeguata all’ attuale organizzazione economica della famiglia, perché anche la donna esplica attività produttive di reddito al pari del marito.

Correva l’anno 1967 e la Corte Costituzionale affrontava la questione e affermava quanto segue:

La norma impugnata si rifà ad una situazione non più rispondente all’attuale posizione economica e sociale della donna nella famiglia e fuori di essa.

Questa nuova posizione è riconosciuta nell’ art. 70 della Legge Fallimentare, che applica la c.d. presunzione muciana alla moglie nel fallimento del marito e al marito nel fallimento della moglie, è presupposta nell’ art. 207 del testo unico delle leggi sulle imposte dirette, che limita la proponibilità delle istanze in separazione, sia alla moglie nell’esecuzione esattoriale contro il marito, sia al marito nell’esecuzione esattoriale contro la moglie.

Non si spiega che, nell’esecuzione forzata ordinaria, soltanto la moglie subisce restrizioni nella tutela del suo diritto di proprietà, quando oggi la donna, non di rado, ha una propria posizione professionale e quindi ha la possibilità di acquisire beni suoi con danaro non proveniente dal marito.

Non si spiega nemmeno il perché la moglie deve provare con atto di data certa l’appartenenza dei beni acquistati prima del matrimonio, mentre al marito la giurisprudenza ordinaria suole applicare l’art. 621 C.p.C. che consente al riguardo maggiore libertà di prova: oggi anche la donna nubile riesce ad inserirsi nella vita produttiva, e, quando ciò accade, diviene verosimile che essa, anteriormente alle sue nozze possa essersi formato un suo patrimonio attivo.

La norma impugnata ferisce il principio di eguaglianza anche perché pone una diversità di tutela in ragione di una situazione dipendente dal sesso.

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 12 DICEMBRE 1967 N. 143

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