La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la condotta di molestie verbali realizzate dall’imputato inviando messaggi sulla pagina Facebook in uso alla persona offesa.
A proposito di detta condotta, le due sentenze (primo e secondo grado) apertamente divergono quanto ad assimilabilità del mezzo a quello telefonico.
Il Tribunale parla infatti di “fatti commessi a mezzo di posta elettronica” riconducendo le comunicazioni moleste alla categoria delle email, in relazione alle quali può ritenersi acquisito il principio della non equiparabilità alle comunicazioni telefoniche (così, oramai tra molte, Cass., Sez. 1, n. 24510 del 17/06/2010), vuoi per la differente natura ed invasività del mezzo vuoi per il rispetto del principio di legalità.
La Corte di appello, invece, rimarca che nel caso in esame i messaggi erano stati inviati alla persona offesa tramite Facebook: sfruttando, cioè, una «social community aperta, e su[…] profilo evidentemente accessibile a tutti». Considerata perciò la immediata percepibilità e la diretta invasività del mezzo, lo ha ritenuto equipollente a quello telefonico.
Tuttavia, ad avviso del Collegio, ove risultasse esatta la ricostruzione della Corte di appello, la riconducibilità delle condotte alla fattispecie di cui all’art. 660 C.p. non dipenderebbe tanto dall’assimilabilità della comunicazione telematica alla comunicazione telefonica, quanto dalla natura stessa di “luogo” virtuale aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete, di un social network o community quale Facebook.
Di fatto, sembra innegabile che la piattaforma sociale Facebook (disponibile in oltre 70 lingue, che già ad agosto del 2008 contava i suoi primi cento milioni di utenti attivi, classificata come primo servizio di rete sociale) rappresenti una sorta di agorá virtuale. Una “piazza immateriale” che consente un numero indeterminato di “accessi” e di visioni, resa possibile da un evoluzione scientifica, che certo il legislatore non era arrivato ad immaginare. Ma che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone anzi di considerare.
Corte di Cassazione n. 37596/2014