Mutatio ed emendatio libelli

Mutatio ed emendatio libelli Ripudio Amministrazione di sostegno Divario minimo d'età Revoca della patente di guida quantificazione della sanzione accessoria Legittimazione ad impugnare Iscrizione della messa alla prova nel casellario giudiziario Sostituzione della pena Applicazione della sanzione amministrativa accessoria Tempus regit actum Il decreto penale di condanna Interesse concreto ad impugnare da parte del pubblico ministero Interesse ad impugnare Dissenso Correlazione tra accusa e sentenza Competenza ad irrogare la sanzione amministrativa accessoria Determinazione della durata della sanzione amministrativa accessoria Vendita di prodotti industriali con segni mendaci Riproduzione abusiva di opere Presupposti legittimanti l'istituto della messa alla prova Decreto di citazione a giudizio ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione Sanzione amministrativa accessoria Responsabilità del titolare di un blog Revoca del lavoro di pubblica utilità Eccezione di nullità del decreto penale di condanna Revoca del beneficio della sospensione del processo per messa alla prova Lavori di pubblica utilità Diniego di ammissione alla messa alla prova Impugnazione della sentenza Termini della richiesta Sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità Contratto di edizione musicale Detenzione per la vendita di supporti Determinazione della durata della messa alla prova Sospensione dell'efficacia della sanzione Particolare tenuità Scriminante del diritto di critica Trattamento illecito di dati personali Revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità Rigetto della richiesta messa alla prova Filiazione Riconoscimento del figlio naturale Prescrizione del Presunzione di concepimento Durata della messa alla prova Sospensione condizionale Tardività dell'istanza di sospensione del processo con messa alla prova Etilometro Assegno di mantenimento e assegno divorzile Accertamento alcolimetrico Precedenti penali Riconciliazione dei coniugi Recidiva nel biennio Disciplina Recidiva nel triennio Coabitazione Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento di messa alla prova Sanzione amministrativa accessoria della revoca Semilibertà Affidamento in prova al servizio sociale Selfie pornografici Natura del reato Esito positivo della prova Pensione di reversibilità durata della sanzione amministrativa della sospensione Violenza sessuale Accesso all'istituto della messa alla prova Programma di Trattamento Decreto di citazione a giudizio Durata del lavoro Revisione dell'assegno di divorzio Sospensione della patente di guida e confisca Prognosi favorevole Interpretazione del contratto Revoca della sanzione sostitutiva sostitutiva Irrilevanza Pronuncia di addebito Integrazione o modificazione del programma di trattamento Oblazione Quantificazione della sanzione amministrativa accessoria Verità della notizia Competenza territoriale Lavoro di pubblica utilità Esimente del diritto di satira Critica Sentenza di non doversi procedere Revoca della pena sostitutiva del lavoro di Tradimento e risarcimento del danno Contraffazione Contraffazione grossolana Danno cagionato da cosa in custodia Diniego dell'applicazione dell'istituto della messa alla prova Programma di trattamento e Pubblicazione di foto Trasferimento del lavoratore subordinato Modifica del programma Trasferimento del lavoratore contratto preliminare ad effetti anticipati Espressioni denigratorie Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento Impugnazione avverso la sentenza di estinzione del reato Incapacità naturale Messa Medico del lavoro Abbandono della casa coniugale Messa alla prova presentata nel giudizio di secondo grado Spese a carico dell'usufruttuario L'ordinanza Pettegolezzo Sospensione della prescrizione Addebito della separazione La caparra confirmatoria Iscrizione di ipoteca Assegno divorzile Rimessione in termini Diritto di satira Programma di trattamento Prestazione di attività non retribuita Diritto di cronaca giudiziaria 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libelli, a seguito dei mutamenti del quadro normativo di riferimento ad opera del legislatore, anche costituzionale, e dei corrispondenti mutamenti nella giurisprudenza di legittimità, è stata oggetto di intenso dibattito giurisprudenziale, nel silentium legis, conclusosi con l’intervento nomofilattico compositivo.

Il principio secondo il quale è inammissibile ogni modifica della domanda iniziale che incida sul petitum e/o sulla causa petendi prende le mosse dalla corretta considerazione iniziale secondo la quale, ad ogni finalità giuridicamente rilevante (ad esempio la litispendenza, l’individuazione dell’ambito del giudicato), i momenti identificativi della domanda sono rappresentati dai tre elementi delle personae (sotto il profilo soggettivo), del petitum e della causa petendi (sotto il profilo oggettivo).

La disposizione normativa di riferimento è art. 183, comma 6 C.p.C.: “Se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini perentori: 1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) un termine di ulteriori trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria“.

Non è ammessa la proposizione di domande “nuove” nel corso dell’udienza di cui alla all’art. 183 C.p.C., e devono ritenersi “nuove” le domande che differiscono da quella iniziale anche solo per uno degli elementi identificativi sul piano oggettivo (petitum, causa petendi), con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la modifica della domanda iniziale che abbia inciso su uno dei suddetti elementi e che pertanto la modificazione consentita sia qualcosa di meno della vera e propria “mutatio” e si identifichi con la “emendatio libelli“, non meglio definita e/o definibile se non in negativo, nel senso che non può consistere nella vietata “mutatio“.
La fondatezza di tali convinzioni non può che essere verificata sulla base di un’attenta analisi della norma in esame, partendo dalla constatazione che in essa non è dato rinvenire un esplicito divieto di domande nuove come quello riscontrabile nell’art. 345 C.p.C., laddove si afferma che “nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e se proposte devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio“, ma che “Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonchè il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa“.

E’ inoltre da evidenziare che l’art. 189 C.p.C., in tema di rimessione della causa al collegio, prevede che il giudice istruttore invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183 C.p.C.“, in tal modo ribadendo che a norma dell’art. 183 C.p.C., le parti possono cambiare le domande e conclusioni avanzate nell’atto introduttivo in maniera sensibilmente apprezzabile (quindi non limitata a mere qualificazioni giuridiche o precisazioni di dettaglio), restando tuttavia ancora in parte imprecisato il tenore di tale cambiamento. Per una maggiore comprensione della effettiva portata del cambiamento ammissibile ai sensi dell’art. 183 C.p.C., occorre procedere dalla considerazione che, in rapporto alla domanda originaria, nell’economia della suddetta norma risultano previsti altri tre tipi di domande: le domande “nuove“, le domande “precisate” e le domande “modificate“. Con riguardo alle domande “nuove“, va innanzitutto evidenziato che, pur non riscontrandosi un espresso divieto come quello di cui all’art. 345 C.p.C., questo può essere implicitamente desunto dal fatto che risultano specificamente ammesse per l’attore le domande e le eccezioni “che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto“, ben potendo l’affermazione suddetta leggersi nel senso che sono (implicitamente) vietate tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che per l’attore rappresentano una reazione alle opzioni difensive del convenuto, secondo una struttura in parte dissimile da quella riscontrabile nel più volte citato art. 345 C.p.C., dove il divieto di domande nuove risulta esplicitato, sicchè non resta deducibile “a contrariodalla esplicita ammissione delle domande relative a frutti, interessi, accessori e danni rispettivamente maturati e sofferti dopo la sentenza impugnata.

Quanto alle domande “precisate“, è intuitivo che esse sono le stesse domande introduttive che non hanno subito modificazioni nei loro elementi identificativi, ma semplici precisazioni, per tali intendendosi tutti quegli interventi che non incidono sulla sostanza della domanda iniziale ma servono a meglio definirla, puntualizzarla, circostanziarla, chiarirla.
L’identificazione delle c.d. domande “modificate” si presenta invece più ardua, soprattutto ove si intendesse mantenersi fedeli ai principio generale secondo il quale sono domande nuove vietate quelle in cui risultino modificati in tutto o in parte uno o entrambi gli elementi identificativi sul piano oggettivo della domanda originaria (cioè petitum e causa petendi).

In proposito, non è superfluo precisare che non ha alcuna consistenza ontologica prenormativa la pretesa differenza linguistica tra “mutamento” e “modifica” da alcuni sostenuta sulla falsariga del binomio emendatiomutatio libelli, posto che nella lingua italiana i verbi modificare e mutare (come anche, ad esempio, cambiare), utilizzati con riferimento ad una cosa, risultano sinonimi se intesi nel significato di “trasformare“, e lo sono sostanzialmente anche se intesi nel significato di “sostituire“, se non per la sfumatura che, nel caso di modifica, potrebbe trattarsi solo di una “sostituzione -mediante – trasformazione“, nel senso in cui si può dire, ad esempio, che la domanda (come modificata) sostituisce la precedente oggetto di modifica.

E’ inoltre da considerare che la norma in esame non prevede limiti nè qualitativi nè quantitativi alla modificazione ammessa e che in nessuna parte della norma suddetta è dato riscontrare un (esplicito o implicito) divieto di modificazione, in tutto o in parte, di uno degli elementi oggettivi di identificazione della domanda. In ogni caso risulta veramente difficile immaginare una modifica della domanda che non si riduca ad una mera precisazione e neppure incida (almeno in parte) sui suddetti elementi identificativi, come in concreto provato dalla stessa giurisprudenza che, ritenuta in astratto indiscutibile l’inammissibilità della modificazione degli elementi identificativi oggettivi della domanda, ha poi trovato tali difficoltà ad indicare una ammissibile modificazione della medesima che non si riduca ad una mera precisazione, da pervenire ad affermazioni illogiche identificando la modificazione ammissibile ai sensi dell’art. 183 C.p.C., non nella prospettazione di un fatto costitutivo diverso da quello addotto nell’atto di citazione bensì nella diversa qualificazione giuridica di tale fatto (v. tra le altre Cass. n. 17457 del 2009 e n. 12621 del 2012), come se una diversa qualificazione giuridica del fatto non fosse sempre ammissibile, perfino nel corso dei giudizi di impugnazione, ad opera della parte ed anche del giudice, senza bisogno di una specifica norma che autorizzi a tanto, addirittura distinguendo questa attività da quella di precisazione della domanda e prevedendo tale possibilità solo all’inizio del procedimento di primo grado e con la contemporanea prescrizione di importanti “cautele” a tutela della controparte, come la previsione di doppi termini per memorie e articolazione di prova diretta e contraria.
Per comprendere allora l’effettiva portata della modificazione ammissibile occorre fare un passo indietro e tornare a delimitare il reale ambito del divieto di domande “nuove” implicitamente desunto (nel silenzio del legislatore) dalla ammissione espressa di domande costituenti conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto.
Se, come sopra precisato, il “silenzio” assume valore e significato in relazione alla previsione espressa dalla quale è desunto, occorre allora prendere atto che possono ritenersi vietate solo domande le cui caratteristiche di “novità” corrispondono a quelle riscontrabili nelle domande espressamente ammesse in deroga ad una inammissibilità implicitamente assunta come principio generale. E la prima caratteristica riscontrabile nelle domande “nuove” ammesse, nell’economia dell’art. 183 C.p.C., in risposta alle opzioni difensive del convenuto, è che esse si aggiungono alla domanda proposta nell’atto introduttivo, sono “altro” da quella domanda, innanzitutto perchè con essa convivono, con la conseguenza che possono (implicitamente) ritenersi inammissibili solo le (altre) domande che (al pari di quelle eccezionalmente ed esplicitamente ammesse) si aggiungono alla domanda principale.

La vera differenza tra le domande “nuove” implicitamente vietate e le domande “modificate” espressamente ammesse non sta dunque nel fatto che in queste ultime le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive“, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività.
In questo pertanto, secondo la disciplina positiva enucleabile dalla struttura dell’art. 183 C.p.C., sta tutto il loro non essere domande “nuove“, rispetto ad un divieto implicitamente ricavato dalla necessità espressa di prevedere l’ammissibilità di alcune specifiche domande “nuove” aventi la caratteristica di non essere alternative alla (o sostitutive della) domanda iniziale, ma di aggiungersi ad essa: in pratica, con la modificazione della domanda iniziale l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio.

Ed inoltre, come pure rilevato, se si trattasse di modificazioni incidenti solo su aspetti marginali della domanda iniziale ovvero sulla mera qualificazione giuridica del fatto costitutivo inizialmente dedotto, non sarebbe giustificata la previsione di un termine di trenta giorni per il deposito di memorie in relazione a precisazioni e modificazioni di domande, eccezioni e conclusioni, un ulteriore termine di trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni suddette ed indicare i mezzi di prova e le produzioni documentali, nonchè ancora un termine di ulteriori venti giorni per le indicazioni di prova contraria.
D’altro canto, una modificazione della domanda ammissibile senza limiti (quindi anche eventualmente incidente sugli elementi oggettivi di identificazione della medesima) risulta logicamente comprensibile siccome situata all’esito dell’udienza di comparizione, cioè una udienza in cui non è ancora sostanzialmente iniziata la trattazione della causa, non è intervenuta l’ammissione di mezzi di prova, e quindi una modifica anche incisiva della domanda non arrecherebbe pregiudizio all’ordinato svolgimento del processo.
E’ inoltre da considerare che la possibilità di una simile modificazione risulta prevista, nella complessa architettura della norma in esame, dopo gli atti introduttivi di entrambe le parti, le eventuali domande riconvenzionali e richieste di autorizzazione a chiamare in causa terzi, ma, soprattutto, dopo l’esplicazione dei poteri di “indirizzo” processuale attribuiti al giudice pure attraverso la previsione, nella medesima norma, della richiesta di chiarimenti alle parti e dell’indicazione delle questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, quindi in un momento in cui, all’esito di una udienza potenzialmente “chiarificatrice”, può risultare assai più evidente alle parti, in relazione alla situazione sostanziale dedotta in causa, la soluzione effettivamente rispondente ai rispettivi interessi e intendimenti.
E’ perciò da ritenersi che il legislatore abbia scelto proprio questo momento per consentire, prima dell’inizio della trattazione della causa, “correzioni di tiro” e cambiamenti anche rilevanti (rispetto ai quali, come già sottolineato, è addirittura previsto un triplo ordine di termini) al fine di massimizzare la portata dell’intervento giurisdizionale richiesto così da risolvere in maniera tendenzialmente definitiva i problemi che hanno portato le parti dinanzi al giudice, evitando che esse tornino nuovamente in causa in relazione alla medesima vicenda sostanziale. Diversamente opinando si finirebbe per imprigionare la ratio che presiede alla organizzazione dell’art. 183 C.p.C., nell’ambito di una logica deontica fine a se stessa, intesa ad inquadrare e regolamentare permessi, obblighi e divieti con l’unica preoccupazione che siano certi i confini tra quel che si può, quel che si deve e quel che è vietato fare, anche a discapito della funzionalità dell’intero processo e dei suoi valori fondanti.

Nè l’interpretazione proposta rischia di allungare i tempi del processo nel quale la modifica della domanda interviene, posto che:
la domanda “modificata” sostituisce la domanda iniziale e non si aggiunge ad essa; la modifica interviene pur sempre nella fase iniziale del giudizio di primo grado, prima dell’ammissione delle prove; la modifica non potrebbe giammai comportare tempi superiori a quelli già preventivati dal medesimo art. 183 C.p.C., laddove prevede che il giudice, su richiesta delle parti, concede una serie di termini prederminati, anche in ipotesi di mera precisazione ovvero di modificazione intesa nei più ristretti limiti finora ammessi in linea di principio dalla giurisprudenza di legittimità.
E neppure può ritenersi che una simile interpretazione della portata della modificazione ammessa possa “sorprendere” la controparte ovvero mortificarne le potenzialità difensive perchè: l’eventuale modifica avviene sempre in riferimento e connessione alla medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio; la parte sa che una simile modifica potrebbe intervenire a norma della disciplina processuale vigente, sicchè non si trova rispetto ad essa come dinanzi alla domanda iniziale; alla suddetta parte è in ogni caso assegnato un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio.

Tanto premesso circa la necessità di interpretare nell’ambito della complessiva economia strutturale dell’art. 183 C.p.C., la riconosciuta possibilità di modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate, occorre ora sottolineare che i risultati ermeneutici in tal modo raggiunti risultano in completa consonanza sia con l’esigenza di realizzare, al fine di una maggiore economia processuale ed una migliore giustizia sostanziale, la concentrazione nello stesso processo e dinanzi allo stesso giudice delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale (basti pensare alle disposizioni codicistiche in tema di connessione o di riunione di procedimenti) sia, più in generale, con i valori funzionali del processo come via via enucleati nel corso degli ultimi anni dalla dottrina a dalla giurisprudenza.

Si enuncia il seguente principio di diritto: “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 C.p.C., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali“.

Corte di Cassazione civile S.U. n. 12310/2015

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