Omicidio preterintenzionale

Omicidio preterintenzionale beni culturaliL’omicidio preterintenzionale è un reato che trova la sua disciplina giuridica nell’art. 584 del C.p.: “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni“. In tal caso si fa riferimento agli atti diretti a commettere uno dei delitti di percosse (art. 581 C.p.) e di lesione (art. 582 C.p.). Ne consegue che la volontà dell’agente è diretta alla produzione dello specifico evento (percosse o lesione) dal quale deriva l’evento, più grave, della morte.

In primis tale disposizione si differenzia dal reato previsto dall’art. 586 C.p.Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto” in quanto l’evento morte o lesione è conseguenza non voluta e non prevista dall’agente e per “altro delitto” si escludono delitti contro la persona (percosse o lesioni) che farebbero rientrare la condotta dell’agente nell’art. 584 C.p.

La giurisprudenza di legittimità, ai fini della punibilità del reato di omicidio preterintenzionale ha dato vita ad un lungo dibattito che ruota intorno alla tematica della responsabilità oggettiva.

L’orientamento prevalente afferma che nell’omicidio preterintenzionale l’evento letale viene posto a carico dell’agente sulla base del solo rapporto di causalità materiale, prescindendosi da ogni indagine di volontarietà, di colpa o di prevedibilità dell’evento più grave (Cass. Sez. 5, n. 10134/1982), ma si registrano pronunce che aprono spiragli per un’imputazione dell’evento più grave a titolo di colpa.

In tali termini  Cass. Sez. 4, sentenza n. 17687/1989:
Per l’integrazione della fattispecie di omicidio preterintenzionale si richiede l’accertamento di una condotta dolosa (atti diretti a percuotere o ferire) e di un evento-morte legato eziologicamente a tale condotta. Non essendo richiesta né l’idoneità degli atti diretti a percuotere o ferire, né la prevedibilità dell’evento-morte, è da escludersi che tali atti debbano necessariamente assurgere a dignità di tentativo e che l’agente debba avere potuto (ovvero, con l’ordinario discernimento, avrebbe potuto) percepire le conseguenze della sua condotta. Tuttavia, sotto quest’ultimo profilo, non può ravvisarsi in detta fattispecie legale un’ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché, pur non condizionata nell’integrazione, alla prevedibilità (e, a fortori, alla previsione) dell’evento, l’elemento soggettivo della colpa va ricercato nell’avere disatteso il precetto di non porre in essere atti diretti a percuotere o a ledere. Invero, è nella legge, la cui ratio sta nel porre una difesa avanzata al bene della vita dei consociati, nella considerazione che non raramente da atti diretti a ledere (percosse, lesioni) possa naturalisticamente (ancorché involontariamente) sopravvenire la morte del soggetto passivo, data la delicatezza degli equilibri biologici delle varie componenti la condizione di generica normalità del funzionamento degli organismi viventi, la valutazione intorno alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto de quo“.

Tuttavia, la concezione dominante dell’omicidio preterintenzionale come imputazione automatica dell’evento-morte sulla base del mero rapporto di causalità materiale riporta numerose conferme, con puntualizzazioni dirette a salvaguardarne la costituzionalità. In tal senso Cass. Sez. 5, n. 13114/2002: “…non può essere condivisa l’opinione, pur presente nella giurisprudenza di legittimità, che configura la preterintenzione come dolo misto a colpa. Da tempo ormai la dottrina ha abbandonato tale impostazione, rilevando, da un lato, che il legislatore, nell’art. 584 C.p., non esige affatto che l’evento più grave sia dovuto a negligenza, imperizia o imprudenza (atteso che la norma in questione prevede semplicemente che, con atti diretti a percuotere o ledere un soggetto, se ne causi la morte); osservando, dall’altro, che sarebbe assurdo pretendere cautela (quanto alle conseguenze) da parte di chi, comunque, mette in atto un’aggressione fisica nei confronti di un terzo“.

È stato poi fatto notare che la concezione che vede nell’omicidio preterintenzionale una condotta sostenuta da dolo misto a colpa porterebbe a conseguenze irragionevoli anche sul piano sanzionatorio. Per la sussistenza della colpa, infatti, è necessaria la prevedibilità dell’evento, elemento che il legislatore non esige per l’omicidio preterintenzionale, ma, mentre il reato ex art. 584 C.p. è punito con la reclusione da 10 a 18 anni, l’omicidio colposo, nel quale, si ripete, l’evento deve essere quantomeno prevedibile, è punito molto meno gravemente (da 6 mesi e 5 anni). Peraltro, seppure si volesse esigere, anche nell’omicidio preterintenzionale, la prevedibilità dell’evento-morte, l’omicidio colposo, commesso con colpa cosciente rimane comunque punito meno gravemente.

Considerazioni, dunque, di ordine letterale e logico impongono di abbandonare la concezione che vuole l’elemento psicologico dell’omicidio preterintenzionale come caratterizzato da dolo misto a colpa. Invero la Corte Costituzionale ha affermato, in più di un’occasione (sent. 152/84 e 364/88) che il comma 1 dell’art. 27 della Carta fondamentale non contiene un tassativo divieto di responsabilità oggettiva, dal momento che esso si limita a postulare la colpevolezza dell’agente in ordine agli elementi più significativi della fattispecie.  Detti elementi vanno individuati di volta in volta. Insomma, responsabilità oggettiva è concetto ben distinto da quello di responsabilità per fatto di terzi.

Orbene, poiché il delitto è preterintenzionale “quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dal soggetto” (art. 43 C.p.), deve necessariamente giungersi alla conclusione che esso è caratterizzato dal verificarsi di un evento che, benché non sia perseguito dall’agente, è comunque conseguenza della sua condotta e, per questo, ne aggrava il trattamento sanzionatorio. In altre parole, l’agente risponde per fatto proprio, sia pure per un evento più grave di quello effettivamente voluto.
Appare allora evidente che, per approntare una completa tutela contro l’aggressione volontaria al bene della integrità fisica, il legislatore, accanto alle lesioni lievi, gravi, gravissime, ha voluto prevedere, da un lato, l’ipotesi in cui dalle lesioni (o percosse), dolosamente inferte, sia derivata la morte (non voluta) della vittima (art. 584 C.p.), dall’altro, quella in cui la morte sia stata conseguenza, parimenti non voluta, di altro delitto doloso, diverso dalle lesioni o percosse (art. 586 C.p.).

In tempi più recenti si è giunti ad una definizione dogmatica dell’omicidio preterintenzionale ravvisandone il tratto distintivo non già nel binomio dolo – responsabilità oggettiva né nel dolo misto a colpa, ma inquadrando l’elemento soggettivo nel dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione dell’art. 43 C.p. assorbe la prevedibilità dell’evento più grave nell’intenzione di risultato (Cass. Sez. 5, n. 13673/2006). Sicchè, la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del delitto de quo è nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa (Cass. Sez. 5, n. 791/2012).

In tal modo si è fissato il focus sulla prevedibilità dell’evento più grave, elemento ritenuto incorporato nella stessa disposizione legislativa descrittiva della preterintenzione, che consente di isolare la fattispecie dell’art. 584 C.p. distinguendola dall’omicidio volontario cagionato con dolo eventuale, in cui è richiesta una previsione concreta dell’evento-morte il cui rischio, alla stregua delle regole di comune esperienza, l’agente accetta consapevolmente. Invece, nell’omicidio preterintenzionale, l’integrazione stessa della condotta aggressiva implica ex se la prevedibilità di un esito diverso da quello avuto di mira (Cass. Sez. 1, n. 4425/2013), ma sul piano di una prevedibilità astratta e normativamente tipizzata.

(Corte di Cass.  Sez. 1 Num. 39091 Anno 2019)

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