In mancanza di una nozione giuridicamente definita si tende a riconoscere al bene giuridico dell’ “onore e reputazione” un rilevo costituzionale implicito quale componente essenziale della dignità umana.
Ne consegue che la tutela penalistica dell’onore e della reputazione si sostanzia nel divieto, rivolto ai singoli come membri della società, di esprimere , direttamente o attraverso l’attribuzione di fatti, giudizi di indegnità nei confronti degli altri membri, indipendentemente dalle conseguenze eventuali o riflesse su quest’ultimo o sugli altri consociati.
La dignità che si vuole tutelare non è solo quella individuale ed esistenziale ma anche e soprattutto quella sociale, connotandosi la lesione all’onore e alla reputazione come violazione del rapporto di riconoscimento dell’uomo, realtà che vive nella società e non al di fuori di essa.
Oggetto della tutela è pertanto la proiezione della persona nella vita di relazione.
La costituzionalizzazione implicita del bene in questione fa si che debba considerarsi lesivo di esso ogni giudizio che presenti un soggetto, nelle sue caratteristiche identitarie o nel modo di agire, in contrasto sia con i valori di rango costituzionale della persona, sia con quelli giuridici, sia con quelli socio-culturali (tra i quali non possono non rientrare le qualità professionali dell’individuo) purchè si tratti di valori attinenti a qualità fondamentali per il valore della persona stessa.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che la nozione di reputazione è anche comprensiva del profilo connesso alla attività economica e professionale svolta dall’individuo e alla considerazione che essa ottiene nel gruppo sociale.
Si è così affermato che la condotta lesiva può attenere al buon nome anche commerciale di un soggetto.
La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia sottolineato che deve ravvisarsi soltanto l’illecito civile per lesione del diritto alla “identità” personale quando vi sia distorsione della identità personale o alterazione, travisamento, offuscamento, contestazione del patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale.
L’interesse della persona, fisica o giuridica, a preservare la propria identità personale, nel senso di immagine sociale, quale insieme di valori intellettuali, politici, religiosi, professionali, .. rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonché ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l’onore o la reputazione, deve ritenersi qualificabile come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 della Costituzione.
Deve, invece, ritenersi la sussistenza del delitto di diffamazione quando alla lesione suddetta si pervenga mediante offesa della “reputazione”.
Non priva di rilievo penale è l’ipotesi di offesa alla reputazione di una persona giuridica.
La giurisprudenza di legittimità ha posto in evidenza come le espressioni denigratorie dirette nei confronti di singoli appartenenti ad un’associazione od istituzione possono, al contempo, aggredire anche l’onorabilità dell’entità collettiva cui essi appartengono, entità alla quale, conseguentemente, anche compete la legittimazione ad assumere la qualità di soggetto passivo di delitti contro l’onore.
Ne consegue che, quando l’offesa assume carattere diffusivo, incidendo sulla considerazione di cui l’ente gode nella collettività, detto ente, al pari dei singoli soggetti offesi, è legittimato alla presentazione della querela ed alla successiva costituzione di parte civile.
Nello stesso senso si è affermato il principio secondo cui in tema di diffamazione, la capacità di essere titolari dell’onore sociale e di essere soggetti passivi del reato non può essere esclusa nei confronti di entità giuridiche o di fatto (associazioni, partiti, fondazioni, comunità religiose,..) in quanto rappresentativi sia di un interesse collettivo unitario ed indivisibile in relazione alla finalità perseguita, sia degli interessi dei singoli componenti.
Ne consegue che l’individuazione del destinatario dell’offesa in una determinata persona fisica, specificamente aggredita nell’onore e nella reputazione con riferimento alle funzioni svolte in un ente collettivo, non preclude la configurabilità del reato per una concorrente aggressione all’onore sociale dell’ente al quale quella persona appartiene, quando – sotto il profilo processuale – la plurioffensività del fatto lesivo sia ritualmente contestata e quando – sotto il profilo sostanziale – l’offesa sia così oggettivamente diffusiva da incidere anche sull’ente per la portata e natura dell’aggressione, le circostanze narrate, le espressioni usate, i riferimenti ed i collegamenti operati dal soggetto attivo all’attività svolta ed alle finalità perseguite dal soggetto passivo.
Corte di Cassazione Sent. Num. 37383 Anno 2011