Parità retributiva : il film “We Want Sex”

parità“We Want Sex” è un film dell’anno 2010 diretto dal regista britannico Nigel Cole che trae origine da fatti reali: lo sciopero indetto dalle operaie di una fabbrica inglese nell’anno 1968 per la parità retributiva.

Siamo nel Regno Unito e corre l’anno 1968, nella fabbrica della Ford lavorano 55mila operai uomini e 187 donne addette alla cucitura dei sedili per le auto. Queste donne lavorano in condizioni assurde e poco confortevoli; la struttura è obsoleta tanto che quando piove l’acqua arriva ad entrare nelle loro stanze. A ciò si aggiunge il fatto le il loro lavoro viene retribuito in misura inferiore, circa la metà, rispetto ai colleghi di sesso maschile. Le operaie decidono di indire lo sciopero ed è la prima volta che in Inghilterra le donne scendono in piazza ad affermare i loro diritti. Il loro obiettivo è quello di arrivare alla emanazione di una legge sulla parità di retribuzione. L’eco della protesta ha risvolti in tutto il mondo occidentale arrivando anche sulle coste italiane.

Ma se la storia, poi tradotta nel film “We Want Sex”, segna nel Regno Unito il cambio di evoluzione, in Italia come vanno le cose?

Già la legge 20 Maggio 1970, n. 300 si occupa di atti antidiscriminatori nei rapporti di lavoro che all’art. 15, appunto intitolato “Atti discriminatori” e costituente una prima attuazione del principio di parità nel rapporto di lavoro, sanziona con la nullità qualsiasi patto o atto diretto a discriminare un lavoratore.

Una esplicita attuazione del principio di parità uomo-donna si è avuta con la Legge 9/12/77 n. 903 che ha previsto, tra l’altro, il divieto di discriminazioni fondate sul sesso relativamente all’accesso al lavoro, formazione e aggiornamento professionale e il diritto alla parità retributiva e a criteri di classificazione comune.

Il rafforzamento della tutela discriminatoria avviene con la L. 125/1991 che, in particolare, ha sancito il passaggio dal mero principio di parità di trattamento a quello di pari opportunità, specialmente attraverso la previsione delle azioni positive di cui all’art. 4 al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità.

Tale norma ha innanzitutto introdotto la distinzione tra discriminazione diretta ed indiretta prevedendo che costituisce discriminazione, ai sensi della legge 903/1977, qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando “anche in via indiretta” i lavoratori in ragione del sesso e che costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente alla adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e riguardino i requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa.

Il suddetto art. 4, L.125/1991, poi modificato dall’art. 8 del D.lgs. n. 196/2000, è stato, quindi trasfuso negli artt. 36 e ss. del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna – D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, poi integrato dal D.lgs. del 25 gennaio 2010 n. 5 – che all’art. 25 ha mantenuto la distinzione tra discriminazione diretta e indiretta prevedendo al comma 1 che: “Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga” ed al comma 2 che: “Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.(Cass. Civile 14206/2013).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *