Il perdurante e grave stato di ansia si colloca tra gli eventi, alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p., comma 1, il cui verificarsi è indispensabile per l’integrazione della fattispecie delittuosa di “atti persecutori“, (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 19.5.2011, n. 29872; Cass., sez. V, 11.4.2017, n. 26891; Cass., sez. V, 24.10.2016, n. 1826). (cit. Cass. n. 111/22)
Accanto al perdurante e grave stato di ansia secondo la lettura ricognitiva della norma si colloca l’alterazione delle proprie abitudini di vita, integrata da ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo dell’ordinaria gestione della vita quotidiana, indotto nella vittima dalla condotta persecutoria altrui, finalizzato ad evitare l’ingerenza nella propria vita privata del molestatore (cfr. Cass., sez. V, 27.11.2012, n. 20993). (Cass. n. 111/22)
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014; Cass., Sez. V, n. 17795, del 02/03/2017), essendosi, inoltre, precisato come ai fini della configurabilità del reato di cui di discute, non sia necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 57704, del 14/09/2017, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che il grave stato d’ansia provocato alla vittima dall’imputato si ricavasse inequivocabilmente dal complesso probatorio risultante ai giudici, al di là della descrizione di esso fornita dalla persona offesa); (sul punto Cass., Sez. V, sentenza n. 111/2022 secondo cui il perdurante e grave stato di ansia sussiste anche nell’ipotesi di pubblicazione sul profilo “facebook” della vittima del reato di atti persecutori, di immagini felici della propria persona).