Piccolo testamento

Piccolo testamento Bianca GarufiPiccolo testamento

Questo che a notte balugina

nella calotta del mio pensiero,

traccia madreperlacea di lumaca

o smeriglio di vetro calpestato,

non è lume di chiesa o d’officina

che alimenti

chierico rosso, o nero.

Solo quest’iride posso

lasciarti a testimonianza

d’una fede che fu combattuta,

d’una speranza che bruciò più lenta

di un duro ceppo nel focolare.

Conservane la cipria nello specchietto

quando spenta ogni lampada

la sardana si farà infernale

e un ombroso Lucifero scenderà su una prora

del Tamigi, dell’Hudson, della Senna

scuotendo l’ali di bitume semi-

mozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.

Non è un’eredità, un portafortuna

che può reggere all’urto dei monsoni

sul fil di ragno della memoria,

ma una storia non dura che nella cenere

e persistenza è solo l’estinzione.

Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato

non può fallire nel ritrovarti.

Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio

non era fuga, l’umiltà non era

vile, il tenue bagliore strofinato

laggiù non era quello di un fiammifero.

(poesia di Eugenio Montale da “La bufera e altro” del 1956).

Eugenio Montale (Genova, 12 Ottobre 1896 – Milano, 12 Settembre 1981) è stato un celebre e rinomato scrittore, filosofo, critico letterario e musicale, annoverato tra le personalità letteraria italiane più importanti del XX secolo.

Tra le sue opere più importanti occorre citare le raccolte poetiche “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925, “Le occasioni” pubblicata nel 1939, “Xenia” pubblicata nel 1966, “Satura” pubblicata nel 1971, “Il Diario del ’71 e del ’72” pubblicato nel 1973.

La lirica “Piccolo Testamento” composta nel 1953 in versi liberi, fa parte delle Conclusioni provvisorie dell’ultima sezione della raccolta poetica “La bufera e altro” pubblicata nel 1956, ed è un bilancio che il poeta fa della sua vita e del suo atteggiamento di fronte ad essa “d’una fede che fu combattuta – d’una speranza che bruciò più lenta di un duro ceppo nel focolare” nel senso di una affermazione una profonda dignità, lontana da quelle certezze (religiose e politiche). Questo è il solo “testamento” che può lasciare all’ideale figura femminile, a cui si rivolge nell’ultima parte dei versi.

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