La presunzione di responsabilità gravante sui genitori per il fatto illecito commesso dal figlio minore trova una specifica disciplina nell’art. 2048 C.c.
Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.
La presunzione di responsabilità gravante sui genitori per il fatto illecito commesso dal figlio minore può essere vinta in relazione alla tipologia di fatto illecito, alle modalità in cui ebbe a verificarsi e alle giustificazioni difensive dei genitori.
Peraltro, va ricordato che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’art. 2048 C.c., di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore coincide, normalmente, con la dimostrazione, oltre che di aver impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di aver esercitato sul minore una vigilanza adeguata all’età e finalizzata a correggere comportamenti non corretti e, quindi, meritevoli di un’ulteriore o diversa opera educativa; (cit. Cassazione, Sez. III, 10/09/2019, n.22541: nel caso di specie la sentenza ha ritenuto che i genitori del minore danneggiante non avessero provato di avere reso il proprio figlio capace di dominare i suoi istinti, di fronteggiare le altrui offese e di rispettare gli altri, sì da andare esenti dalla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2048 C.c.. I ricorrenti si erano limitati in primo grado ed in appello ad invocare l’esenzione da responsabilità del proprio figlio, giustificandone il comportamento antigiuridico quale reazione agli atti di bullismo ed ai soprusi di cui la vittima lo avrebbe reso oggetto, dimostrando essi stessi, in sostanza, di non aver percepito il disvalore della condotta del figlio e la gravità del fatto imputatogli, fornendo indirettamente la prova del difetto di un adeguato insegnamento educativo non avendo fornito al minore gli strumenti per ritenere non solo illecito, ma anche non giustificabile un comportamento violento quale quello adottato).
L’educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente; (cit. Cass. 28/08/2009, n. 18804, e ancora, proprio con l’avvicinarsi dell’età maggiore – allorché acquista la capacità di fare del male tanto quanto un adulto, serbando però l’inettitudine a dominare i propri istinti e le altrui offese, che caratterizza l’età immatura – il minore ha particolare bisogno di essere sostenuto, rasserenato ed anche controllato: soprattutto in relazione a vicende, presenti e passate).
A tal fine, non essendo necessario che il genitore provi la costante ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, pena la coincidenza dell’obbligo di vigilanza con quello di sorveglianza, ma che per l’educazione impartita, per l’età del figlio e per l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli per sè e per i terzi, … , giacchè l’obbligo di vigilanza per i genitori del minore capace non si pone come autonomo rispetto all’obbligo di educazione, ma va correlato a quest’ultimo, nel senso che i genitori devono vigilare che l’educazione impartita sia consona ed idonea al carattere ed alle attitudini del minore e che quest’ultimo ne abbia “tratto profitto”, ponendola in atto, in modo da avviarsi a vivere autonomamente, ma correttamente (Cass. 22/04/2009, n. 9556).