Principio di legalità della pena

Principio di legalità della pena Determinazione del reato più grave Il Ravvedimento Permesso premio La liberazione anticipata Pirateria Furto aggravato Risarcimento integrale del danno Smishing Convivenza di fatto tra un terzo e l'ex coniuge Mago Contraffazione o alterazione Fake lab Monopattino Modifica del programma di trattamento termine di decadenza Decisione Manifesta ubriachezza intollerabilità della convivenza dichiarazione di addebito Materiale fotografico Abusiva occupazione di un bene immobile Apprezzamento della prova indiziaria Allontanamento Giudizio di rinvio dopo annullamento Orario di lavoro discriminazione Azioni vessatorie La nozione Appropriazione Pubblicità ingannevole Tenore espressivo Aumento della pena Reato di esercizio di una casa di prostituzione Rapporto di coniugio Unicità del disegno criminoso rimessione Il dolo nel reato di ricettazione Contraffazione di marchi e segni distintivi Disciplina del marchio Il reato di strage Produzione di materiale pornografico Amore malato Sindrome di alienazione parentale Rivelazione di segreto professionale Tradimento finto Colloqui visivi del detenuto Mero giudizio critico Elemento costitutivo Dichiarazioni della persona offesa Effetti della dichiarazione La minaccia nel Divieto di prevalenza Obbligo della Assicurazione Esimenti del diritto Omicidio tentato Delitto di furto Reati edilizi Scambio elettorale Minore gravità La violenza Consenso agli atti Permanenza all'aperto Discriminazione del lavoro a tempo parziale Espulsione dello straniero condannato Diniego della sanzione sostitutiva Reato di traffico di influenze illecite Valutazione della prova dichiarativa Ingiuria grave Diritti del coniuge superstite Marchio contraffatto Modifica dell'imputazione Provenienza delittuosa del bene Gravi indizi di colpevolezza Giudizio sulla rilevanza Traffico di influenze illecite destrezza Precedenti in tema della recidiva Prelazione agraria Qualificazione del contratto Discriminazione Marchio di forma Comunicazione con Revocazione per ingratitudine Rinvio pregiudiziale Espressioni riportate Remissione della querela Applicazione della sanzione sostitutiva Sospensione condizionale Circostanza attenuante Delitto di Revoca de plano La sanzione accessoria Valutazione della prova indiziaria Il mutuo Furto in abitazione Contesa per ragioni sentimentali più probabile che no Individuazione dei criteri Mancato pervenimento del programma Contenuto e idoneità Motivi di legittimo sospetto Sentimento di affezione e solidarietà Sanzioni sostitutive di pene detentive brevi Ordine europeo di indagine Dati esterni alle telecomunicazioni Misure cautelari personali Procedimenti cumulativi Principio del contraddittorio nella Messa alla prova Prognosi di non recidivanza Condanna a pena sostitutiva Versamenti di danaro Principio di retroattività Pena detentiva Condotte plurime Vaglio discrezionale Termini per richiedere Appropriazione indebita Sospensione della Qualificazione giuridica diversa Comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni Omesso risarcimento dei danni Partecipazione morale Relazione affettiva La praticabilità della sospensione con messa Provvedimento di rigetto Categoria della abnormità Procura speciale La tecnica del copia e incolla Materia regolata da più leggi penali Provvedimento di revoca Tendenza alla devianza Assunzione di nuovi mezzi di prova Mancata adozione della messa alla prova Possesso nel reato di furto Ordine di indagine europeo Rapporto di natura Comportamento non equivoco Il diritto di critica giornalistica Il diritto di critica politica Attività di introduzione di armi interdittiva antimafia Foto felici Saluto fascista Condotta del giornalista Oltraggio a pubblico ufficiale Causa di non punibilità Fattispecie dell'omicidio preterintenzionale Estremi del delitto tentato Ricorso straordinario per errore Presupposti per la misura alternativa Elementi costitutivi della premeditazione Sostituzione della pena detentiva Dichiarazioni indizianti Condotta persecutoria Confisca di prevenzione Abnormità funzionale Contestazione puntuale della recidiva Ordinanza cautelare Comunicazione asincrona Associazione di tipo mafioso Rinvio a giudizio Mediazione atipica Applicazione della recidiva Accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta Reati commessi da più persone in danno reciproco Delitto di atti persecutori Criterio di gradualità nella concessione di benefici penitenziari Le molestie telefoniche Doppia conformità della decisione Angherie "da vicinato" Sottrazione del telefono cellulare Non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti Il "giustificato motivo" del porto degli oggetti Contestazione Dichiarazioni della persona offesa Gravi indizi di colpevolezza Il controllo di legittimità Gravità indiziaria Il principio di vicinanza della prova Ricorso straordinario per errore materiale Elementi Idem factum Concorso formale tra Ordinanza che Sospensione Conflittuale di vicinato Rinnovazione Allontanamento dalla Aggravante dell'esposizione alla pubblica fede Riqualificazione del fatto Il reato di furto Sostituzione della pena della reclusione beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale Disegno o modello comunitario Fabbricazione e commercio di beni Provvedimento di nomina dell'amministrazione di sostegno Interruzione del processo Successione a titolo Residenza abituale Atti posti in essere da soggetto Intervento obbligatorio Associazione temporanea di imprese Stato di abbandono del minore straniero Stato di abbandono Mobbing e Straining Danni conseguenti ad attività lavorativa eccedente la ragionevole tollerabilità Rapporto tra testo scritto Espromissione Liquidazione del danno ascrivibile alla condotta illecita Disponibilità Legittima difesa Valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa Circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa stato di figlio nei confronti del genitore intenzionale Criterio del “disputatum” Assegno bancario postdatato Liquidazione del danno biologico trasmissibile Biglietto del gioco del lotto Contrasto di giudicati Risarcimento del danno non patrimoniale subìto dalle persone giuridiche Documento nuovo in grado di appello Offerta informale Risoluzione del contratto di affitto al coltivatore diretto Consulenza tecnica La confessione La gelosia rinnovazione dell'istruzione dibattimentale Coinvolgimento del minore Conseguenze giuridiche del reato di rapina Elemento soggettivo nell'omicidio preterintenzionale Dolo eventuale nel delitto di lesioni Sentenza di assoluzione Riapertura dell'istruttoria in appello Vizio di motivazione deducibile in cassazione Danno endofamilare Offerta non formale Circolazione della prova Verbale di accertamento di un incidente stradale Diritto del possessore al rimborso delle spese per riparazioni straordinarie della cosa Pactum de non exequendo ad tempus Annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili Domanda di revocazione per errore di fatto Circolazione di veicoli Terzo trasportato Sinistro stradale con pluralità di danneggiati Clausole claims made Privata dimora rendita vitalizia Imputazione del pagamento Istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta Servitù per vantaggio futuro Contratto condizionale Azione surrogatoria Acquisto di immobile da uno dei coniugi successivamente al matrimonio Clausola penale Dazione differita della caparra confirmatoria Risoluzione del contratto preliminare per inadempimento Sottrazione internazionale di minore Impossibilità di provvedere ai propri interessi rate swap Intervento in appello costitutore di una banca di dati Competenza del Tribunale per i minorenni Limiti del giudicato Affidamento familiare "sine die" Compensazione impropria Deindicizzazione Interruzione del processo Incapacità a testimoniare Risarcimento del danno subito dal figlio Reati culturali Dare in sposa la propria figlia Relazione sentimentale durante il matrimonio Il requisito della continenza Bacheca facebook Principio di libertà della prova Pressione psicologica Ripetibilità delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento Risarcimento del terzo trasportato comunione de residuo Marchio di impresa Assunzione della prova testimoniale Impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza Termini a difesa Obbligazione assunta da un coniuge Risarcimento del danno non patrimoniale alla madre e ai fratelliPrincipio di legalità della pena

La pena può dirsi «illegale», ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole (cfr. Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, R, e Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, entrambe in motivazione), quando, per specie ovvero per quantità, non corrisponde a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice in questione, così collocandosi al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, ovvero qualora, comunque, è stata determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione basato su una cornice edittale inapplicabile, perché dichiarata costituzionalmente illegittima o perché individuata in violazione del principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

Sul punto si ritiene che il principio di legalità della pena vada inquadrato nel sistema delle fonti multilivello, attraverso una breve ricognizione delle fonti che lo richiamano.

Cardine del sistema, il principio è cristallizzato nell’art. 25 Cost. il quale, affermando che «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso», non soltanto vieta la retroattività della norma incriminatrice descrittiva del fatto, ma dà fondamento legale alla potestà punitiva del giudice.
La garanzia del “nullum crimen sine lege“, come declinata nella carta costituzionale, contiene in sé – in un rapporto di necessaria implicazione – il principio nulla poena sine lege“, benché alla pena la disposizione faccia sintetico riferimento solo attraverso l’uso del verbo “punire“, evocativo sia della affermazione di responsabilità, che delle conseguenze che ne derivano. Si tratta, all’evidenza, di principi intimamente connessi, perché la pena esprime il disvalore del fatto e, ancor prima, ne connota la rilevanza penale. Dunque, l’esegesi – sia letterale che logica – della norma costituzionale depone per l’esistenza di una riserva di legge assoluta anche in relazione alla pena, della quale la legge deve prevedere tipo, contenuto e misura.

A livello sovranazionale, il principio del “nulla poena” trova poi riconoscimento nell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Scolpito in termini inequivoci nella rubrica della norma Nessuna pena senza legge»), esso è esplicato nel secondo comma, per il quale «Non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato», atteso che il mutamento peggiorativo di cui la norma vieta l’applicazione ai fatti commessi anteriormente non può che essere riferito alla legge nazionale o internazionale che prevede la fattispecie di reato. Escludendo l’applicazione estensiva o analogica della legge penale a detrimento dell’imputato, il principio costituisce un presidio di garanzia indefettibile nel sistema di protezione dei diritti umani. Da notare che, nel testo dell’art. 7 il riferimento è operato non alla legge formale ma, genericamente, al “diritto” (law), volendosi evidentemente includere nell’ambito operativo della disposizione anche gli ordinamenti basati su un sistema di precedenti vincolanti cui il giudice ha l’obbligo di conformarsi; sicché anche l’overruling giurisprudenziale, modificativo di una interpretazione costante della norma, equiparabile ad un vero e proprio fenomeno di successione di leggi, può refluire in un deficit di prevedibilità della sanzione penale, lesivo della garanzia convenzionale.

In una declinazione più ampia, il principio di legalità della pena si rinviene nell’art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966 e reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale, oltre a prevedere espressamente il canone del “nullum crimen, nulla poena sine lege“, impone anche l’obbligatoria applicazione della pena sopravvenuta più favorevole (anche se, con la legge di ratifica, lo Stato italiano ha dichiarato di interpretare l’ultima disposizione in termini restrittivi, escludendo che il principio possa trovare applicazione nei casi in cui sia già stata pronunciata una decisione definitiva).
Da ultimo, la proiezione codicistica del principio di legalità è contenuta nell’art. 1 cod. pen., che, nella sua piana formulazione, esplicitamente riferisce la riserva di legge tanto alla norma incriminatrice, quanto alla pena.

Il tema della legalità della pena è presente anche in numerose pronunce della Corte costituzionale.

I giudici delle leggi hanno offerto contributi non specifici per la soluzione della questione controversa, ma dai quali è possibile ricostruire importanti direttrici di sistema.
Con la risalente sentenza n. 15 del 1962, la Consulta sancì che la copertura costituzionale di cui all’art. 25, secondo comma, attiene non al solo reato ma anche alla pena e chiarì che la potestà punitiva del giudice si esplica mediante l’applicazione di una pena adeguata al fatto ritenuto antigiuridico, di tal che «non si può contestare che pure la individualizzazione della sanzione da comminare risulta legata al comando della legge».
Ancora, nell’ambito delle sentenze che, in epoca più recente, hanno posto l’accento sulla necessità di individualizzare il trattamento sanzionatorio, perché sia preservata, tra le altre, la funzione rieducativa assegnata alla pena dall’art. 27 Cost., Corte cost., n. 299 del 1992 ha argomentato che «la determinazione legislativa del minimo e del massimo della pena irrogabile per ciascun tipo di reato non rappresenta soltanto un limite alla discrezionalità giudiziale, ma costituisce anche un indispensabile parametro legislativo per l’esercizio di essa, un criterio guida senza il quale il potere così riconosciuto al giudice non sarebbe riconducibile al principio di legalità. Mediante la determinazione legislativa del minimo e del massimo di pena, infatti, il compito che viene assegnato al giudice è quello di “proporzionare” la sanzione concreta non già al proprio giudizio di disvalore sul fatto previsto dalla legge come reato, ma alla scala di graduazione» come definita
dal legislatore.
In particolare, la predeterminazione legislativa del massimo di pena irrogabile per un determinato tipo di reato è considerato dalla Corte un requisito essenziale affinché la discrezionalità giudiziale, in sede di dosimetria della pena, trovi nella legge il suo limite e la sua regola e non si traduca, invece, in arbitrio; e così pure è a dirsi quanto all’ampiezza del divario tra il minimo ed il massimo edittale, che non deve eccedere il margine di elasticità necessario a consentire al giudice di modulare la pena secondo gli indici commisurativi di cui all’art. 133 cod. pen., poiché, diversamente, la predeterminazione legale sarebbe soltanto apparente.
Sempre in relazione al connotato della proporzionalità, Corte cost., n. 391 del 1994, ha ribadito che il finalismo rieducativo è un tratto identitario della pena ed implica l’osservanza costante del “principio di proporzione” tra qualità/quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra; tale valore proporzionale, proiezione del principio di uguaglianza, tiene in equilibrio le istanze di difesa sociale e di tutela delle posizioni individuali, sottese alla sanzione penale (Corte cost., n. 409 del 1989).
A proposito del regime giuridico delle sopravvenute modifiche normative incidenti sulla pena, che pure interferisce, con il tema della sua legalità, Corte cost., n. 393 del 2006, ha poi sancito che, se il divieto di retroattività della norma più sfavorevole ha un valore costituzionale assoluto e inderogabile in quanto la calcolabilità delle conseguenze giuridiche della propria condotta è condizione della libertà di autodeterminazione individuale, al contrario, il principio di retroattività
della legge penale più favorevole, recepito nell’ordinamento dall’art. 2 cod. pen., non trova analoga copertura nella Carta fondamentale, essendo suscettibile di deroga legislativa. In particolare, eventuali scostamenti dal principio di retroattività in mitius «possono essere disposti dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa» da correlarsi ad interessi di rilievo che, richiamando propri precedenti arresti, la Corte stessa ha individuato, in via esemplificativa, in
quelli «dell’efficienza del processo, della salvaguardia dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo».

Corte cost. n. 236 del 2011, sui medesimi temi, invocando l’esigenza di un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco, ha puntualizzato che è il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. ad imporre di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l’entrata in vigore della norma che ha disposto l’abolitio criminis o la modifica mitigatrice del trattamento penale, non essendo ragionevole non tenere conto del mutato apprezzamento del loro disvalore.
Da notare che, nonostante le sentenze Corte EDU, Grande Camera 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia e, in linea di continuità, Corte EDU 27 aprile 2010, Morabito c. Italia, abbiano attribuito al principio di retroattività della norma più favorevole valore di principio fondamentale del diritto penale – alla luce di una interpretazione dinamica ed evolutiva della garanzia – e nonostante l’art. 7 CEDU, che lo prevede, sia norma interposta rispetto al parametro costituzionale di cui all’art. 117 Cost., situandosi nella gerarchia delle fonti ad un livello sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, tuttavia esso non ha acquisito maggior grado di rigidità, avendo la stessa Corte di Strasburgo puntualizzato che la retroattività della lex mitior non ha in sé attitudine a scalfire il giudicato.

Ancora, Corte cost. n. 236 del 2016, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma, cod. pen. per la ritenuta manifesta sproporzione della cornice edittale in rapporto al reale disvalore della condotta, ha riaffermato la valenza ineludibile del principio di proporzionalità della pena di matrice eurounitaria, il quale esige un’articolazione legale del sistema sanzionatorio che renda possibile, a tutela delle posizioni individuali, l’adeguamento della pena alle effettive responsabilità personali.

In assenza di una norma definitoria della pena illegale, la relativa nozione, invero in termini assai problematici, è stata ricostruita dalla interpretazione giurisprudenziale che, in un percorso evolutivo ancora in divenire, ne ha progressivamente dilatato i confini, così da teorizzare, accanto ad una illegalità originaria, una illegalità sopravvenuta.
Secondo la concezione tradizionale, è “ab origine” illegale – e ne è consentito il rilievo anche d’ufficio nel giudizio di cassazione – la pena diversa per specie da quella che la legge stabilisce per ii reato, ovvero inferiore o superiore per quantità ai relativi limiti edittali (Sez. 6, n. 32243 del 15/7/2014, Tanzi, Rv. 260326; Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729), poiché, così caratterizzata, essa si colloca al di fuori dell’assetto normativo vigente.
Di contro, esula dall’ambito della illegalità – con la conseguenza che non ne è consentito il rilievo d’ufficio – il vizio che infici il percorso argomentativo attraverso il quale il giudice giunge alla conclusiva determinazione dell’entità della condanna; ossia l’errore – sia esso di fatto o di diritto – che attenga al procedimento di calcolo, allorquando alla stessa pena finale sarebbe stato possibile giungere attraverso una diversa modulazione delle varie determinazioni intermedie, inerenti alla individuazione della pena base e degli aumenti e diminuzioni da operare a titolo di tentativo, di circostanze, di continuazione. Diversamente opinando – si è argomentato – qualunque errore di diritto compiuto nel computo della pena andrebbe corretto d’ufficio, così da snaturare il meccanismo stesso dell’impugnazione di legittimità, che è invece retto dal principio devolutivo di cui al primo comma dell’art. 609, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255729; Sez. 5, n. 8639 del 20/1/2016, De Paola, Rv. 266080; Sez. 2, n. 46765 del 09/12/2021, Bruno, Rv. 282322);
A titolo esemplificativo, è stata ricondotta all’errore di diritto, non prospettabile per la prima volta e non rilevabile d’ufficio nel giudizio di legittimità, l’erronea applicazione della regola di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen. nella sentenza di primo grado, nella determinazione dell’incremento di pena a titolo di recidiva, in un caso in cui la pena finale non risultava comunque diversa, né esorbitante, dalla previsione legale (Sez. 2, n. 14307 del 14;03/2017, Musumeci, Rv. 269748).

In relazione alla nozione di illegalità Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265110-1, hanno evidenziato che gli errori commessi nella determinazione di una pena comunque legittima nel suo valore finale più strettamente ineriscono alla c.d. legalità processuale, che fuoriesce dall’ambito del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost., chiamando piuttosto in causa i principi regolativi del giusto processo ex art. 111 Cost; così come deve escludersi che rientrino nella nozione di pena illegale le pene ingiuste o eccessive, per le quali potrebbe porsi, semmai, un problema di coerenza con altri parametri costituzionali, quali quelli di uguaglianza, di proporzionalità, di ragionevolezza.

Le coeve Sez. U, n. 47766 del 26/5/2015, Butera, Rv. 265108, in relazione ad una pena “geneticamente” illegale, nell’accezione sopra precisata, hanno ribadito che l’illegalità della pena è deducibile e può essere rilevata ex officio purché il ricorso non sia tardivo (mentre è deducibile davanti al giudice dell’esecuzione, adito ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., quando il ricorso sia stato presentato fuori termine). In particolare, l’illegalità a tal fine rilevante sussiste quando la pena
irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata, salvo che sia frutto di errore macroscopico (ipotesi che ricorre quando la sanzione sia abnorme, in quanto frutto di errore marchiano non giustificabile e non invece di una argomentata, per quanto discutibile, valutazione, ovvero quando sia il frutto di un palese errore di calcolo).
Al di fuori dell’ipotesi di errore macroscopico, la condanna a pena (non illegale, ma solo) illegittima, contenuta in una sentenza non ritualmente impugnata, non può dunque essere rettificata neppure in sede esecutiva.

Una significativa espansione della categoria della pena illegale ha avuto impulso da alcuni arresti delle Sezioni Unite, che hanno ricostruito ipotesi di illegalità c.d. sopravvenuta, legate alla declaratoria di illegittimità costituzionale di norme incidenti sul trattamento sanzionatorio.
Tali pronunce offrono importanti spunti dogmatici e un’innovativa ricostruzione dei poteri del giudice della esecuzione in rapporto al giudicato, ossia di un tema che pure intercetta quello della pena illegale. Ciò perché, dove è ammesso un intervento in executivis, modificativo del giudicato, per porre rimedio alla illegalità della pena, non appare ragionevole – anche per una elementare istanza di economia dei mezzi giuridici – non consentire il rilievo ufficioso di tale illegalità anche da parte del giudice della impugnazione inammissibile.

Si ascrive a questo orientamento giurisprudenziale Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651 e 258649, apripista del processo di revisione critica del dogma della intangibilità del giudicato formale.
Le Sezioni Unite posero in luce argomenti di innegabile solidità che si oppongono all’esecuzione di una sanzione penale divenuta illegale per la violazione dell’art. 7, § 1, della Convenzione Edu, così come accertata dalla Corte EDU nella sentenza 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, riassumibili come segue:
– pur nel riconoscimento della innegabile portata valoriale del giudicato, nel quale sono insite ragioni di certezza del diritto e di stabilità nell’assetto dei rapporti giuridici, in uno stato di diritto deve essere costantemente garantita la conformità a legge della pena, dal momento della sua irrogazione fino a quello della sua esecuzione, giacché il rapporto di esecuzione resta sub iudice fino alla completa espiazione e non può ritenersi ostacolato dal dato formale della c.d. “situazione esaurita“;
– l’impossibilità di dare esecuzione ad una sanzione, su cui incide una norma che, come nella specie, è stata anche dichiarata incostituzionale (v. sent. Corte cost., n. 210 del 2013), poggia su due riferimenti normativi: l’art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, lì dove recita che «Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» e che «quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e tutti gli effetti penali», e l’art. 673 cod. proc. pen., che disciplina i fenomeni dell’abrogazione e della dichiarazione di illegittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice, assegnando al giudice dell’esecuzione il compito di revocare la statuizione di condanna e di adottare i provvedimenti conseguenti;
– il giudicato non può che essere recessivo di fronte ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona, quale certamente è la libertà dell’individuo, la cui tutela deve necessariamente prevalere;
– sulla base di tale sostrato teorico è ammissibile, dunque, un intervento in executivis sulla pena;
– tali situazioni di illegalità devono essere emendate “dallo stigma dell’ingiustizia” e, quindi, eventuali effetti ancora perduranti della violazione devono essere rimossi anche nei confronti di coloro che, pur non avendo proposto ricorso a Strasburgo, si trovano in una situazione identica a quella oggetto della decisione adottata dal giudice Europeo ne! caso Scoppola.

Il percorso ermeneutico di rilettura del concetto e della funzione del giudicato penale avviato dalla sentenza “Ercolano” proseguì con Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697, Rv. 260695 e 260700.
In scia con tale decisione, la sentenza “Gatto”, sempre con riguardo al ruolo del giudice dell’esecuzione nel rideterminare la pena in esito alla declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, ma comunque incidente sul trattamento sanzionatorio, ha ritenuto la necessità che si proceda a rimodulare la pena, non interamente eseguita in favore del condannato; e ciò pure se il provvedimento “correttivo” da adottare non abbia contenuto rigidamente predefinito, dovendosi riconoscere al giudice dell’esecuzione penetranti poteri di accertamento e di valutazione – in linea con i poteri, più o meno incidenti sul giudicato, di cui detto giudice dispone, evocati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 210 del 2013, e che la dottrina ha classificato come selettivi (art. 699 cod. proc. pen.), risolutivi (art. 673 cod. proc. pen.), di conversione (art.2, terzo comma, cod. pen.), modificativi (artt. 672, 676 cod. proc. pen.), ricostruttivi (art. 671 cod. proc. pen. e 188 disp. att. cod. proc. pen.), complementari e supplenti (art. 674 cod. proc. pen.).

Sez. U. Gatto hanno arricchito di un ulteriore importante tassello la riflessione sui temi in analisi, confermando come l’efficacia del giudicato penale nasca dalla necessità di certezza e stabilità giuridica, cui naturalmente ambisce la giurisdizione, ma anche dalla esigenza garantistica di porre un limite all’intervento dello Stato nella sfera individuale (esigenza che si esprime essenzialmente nel divieto di bis in idem); in ragione di quest’ultima istanza, l’immodificabilità del decisum non può ritenersi assoluta, perché, fino al momento in cui la pena non sia stata interamente espiata, rimane in essere il “rapporto processuale esecutivo” ed il trattamento sanzionatorio stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna può subire modifiche a tutela dei diritti primari della persona, con la sola salvezza dei limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo.

Ebbene, nelle sentenze “Ercolano” e “Gatto” il potere emendativo del giudicato è stato ancorato alla peculiare natura della causa di illegalità, posto che la declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma costituisce un “evento di patologia normativa“, che impone di rimuovere dall’universo giuridico tutti gli effetti pregiudizievoli che trovino nella norma dichiarata illegittima la propria scaturigine, con la sola eccezione di quelli oramai irreversibili perché esauriti.

Le Sezioni Unite, proseguendo il percorso già intrapreso dalle sentenze “Ercolano” e “Gatto”, hanno sviluppato il tema della illegalità sopravvenuta della pena, conseguente alla declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice o di altra norma incidente sul trattamento sanzionatorio.
Sez U n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205-6, investite di un quesito afferente alla illegalità della pena, come conseguenza della decisione della Corte costituzionale n. 32 del 2014 in tema di stupefacenti, osservarono che del giudicato penale occorre prendere in considerazione una duplice dimensione: la prima, relativa all’accertamento del fatto, del quale non è consentita, al di fuori delle speciali ipotesi rescissorie, una rivalutazione, e ciò essenzialmente a garanzia del reo (garanzia che si traduce nel divieto del bis in idem); la seconda, relativa alla determinazione della pena che, sprovvista di reale copertura costituzionale (o convenzionale), ha un grado di resistenza decisamente inferiore rispetto alle sollecitazioni provenienti ab extra rispetto alla res iudicata.
Secondo le Sezioni unite, se il giudicato sull’accertamento è, e resta, intangibile, non essendone consentito un diverso apprezzamento, il giudicato sulla pena è permeabile ad eventuali modifiche. In un’ottica di “flessibilizzazione” del giudicato di condanna, non può non ritenersi illegale la pena calcolata sulla base di parametri edittali successivamente dichiarati incostituzionali.
Con la sentenza S.U. Jazouli, la Corte, nella sua più autorevole composizione,
osservò che, in linea di massima, la pena deve «risultare correlata alla gravità del fatto di reato, pur potendo risentire di altri imperscrutabili fattori (come, ad esempio, il bisogno di rassicurazione sociale ovvero le necessità politico-criminali contingenti). In altri termini, la pena è costruita sulla gravità del fatto e giustificata da essa, nelle sue componenti oggettive (importanza del bene, modalità di aggressione, grado di anticipazione della tutela) e soggettive (grado di compenetrazione fatto-autore), come sua variabile dipendente: una distonia nel rapporto o addirittura uno iato tra i due fattori sarebbero costituzionalmente intollerabili»; di qui la tesi che non possa essere conservata la pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma in seguito dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente ex tunc, venendo diversamente ad essere compromessa la stessa funzione, retributiva e rieducativa, cui essa deve assolvere secondo il paradigma dell’art. 27 Cost.
E ciò è tanto vero che ciò deve valere anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa nella forbice edittale prevista dall’originaria formulazione del medesimo articolo, anteriore alla novella del 2006, rivissuto per effetto della declaratoria di incostituzionalità della norma di maggior rigore, perché risultano comunque mutati i parametri di riferimento.
Nell’occasione, analizzando le ricadute della illegalità della pena derivante da pronunce dichiarative di illegittimità costituzionale – oggetto del quesito rimesso – le Sezioni Unite sancirono che fa eccezione alla generale rilevanza della pena divenuta illegale la inammissibilità del ricorso derivante dalla tardività della sua proposizione.
Di qui il principio in forza del quale: «nel giudizio di cassazione l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo».
Ancora, la coeva Sez. U, n. 37107 del 26/2/2015, Marcon, Rv. 264857-858- 859, analizzò l’impatto sulle pene patteggiate della medesima pronuncia dichiarativa di incostituzionalità, Corte cost., n. 32 del 2014, che aveva determinato la reviviscenza del trattamento sanzionatorio di maggior favore per le droghe c.d. leggere.
Nell’occasione la Corte ritenne che anche la pena che sia stata applicata ex art. 444 cod. proc. pen. per uno o più delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ancorché divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014, dovesse essere rideterminata in sede di esecuzione, in quanto costituente pena illegale, a nulla rilevando che fosse compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo di legge, “rivissuto” per effetto della sentenza di illegittimità.
Il giudice della esecuzione avrebbe dunque dovuto procedere a rideterminare la pena a causa della sua illegalità sopravvenuta, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. e, nel caso di mancato accordo, ovvero di quantificazione concordata inter partes ma ritenuta incongrua, provvedendo autonomamente, in applicazione dei criteri commisurativi di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen.; e ciò ferma restando la intangibilità del giudicato, quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuibilità soggettiva ed alla qualificazione giuridica.
Allo stesso ambito concettuale si ascrive, ancora, la sentenza delle Sez. U, 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar, Rv. 263715, la quale affermò che l’illegalità sopravvenuta per effetto della ridetta dichiarazione di incostituzionalità imponesse di rideterminare la pena inflitta anche per i reati-satellite. In particolare, l’aumento di pena a titolo di continuazione per i reati posti in continuazione, pure riconducibili all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, se relativi alla “droghe leggere“, doveva anch’esso essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito,
alla luce del mutato e più favorevole “compasso sanzionatorio“, proprio in ragione del simbiotico rapporto tra legalità e pena.

Sez. U, n. 46653 del 26/06/2015, Della Fazia, Rv. 265111, forniscono a loro volta un ulteriore contributo al quadro ricostruttivo generale, in riferimento al tema della modifica in melius del trattamento sanzionatorio.
Ed invero, con tale pronuncia si è affermato il diritto dell’imputato di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo, alla luce dell’art. 2 cod. pen., anche nel caso in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella cornice edittale sopravvenuta, per il solo fatto che sono mutati, per effetto della modifica migliorativa, i parametri di apprezzamento del disvalore della condotta. Dunque, nel caso di ricorso inammissibile per qualunque ragione e con il quale non vengano proposti motivi riguardanti il trattamento sanzionatorio, la Corte ben può rilevare d’ufficio che la sentenza impugnata era stata pronunziata prima dei mutamenti normativi che hanno modificato il trattamento sanzionatorio in senso favorevole all’imputato, pronunciando l’annullamento sul punto e demandando al giudice di rinvio la rideterminazione della pena, da compiere alla luce del nuovo quadro di riferimento. Perciò, utilizzando quale parametro il principio di legalità della pena, le Sezioni Unite hanno colto l’occasione per meglio perimetrare gli spazi cognitivi del giudice di legittimità, operando un distinguo tra pena illegale e pena (solo) ingiusta.
Ne risulta un quadro composito in virtù del quale, all’ambito concettuale della pena illegale si ascrive la sanzione «determinata sulla base di parametri completamente stravolti da una successiva modifica legislativa, ed applicata in modo incompatibile con la disciplina normativa successiva»; mentre tale non è, con le implicazioni che si sono dette quanto alla impossibilità di rilevarne d’ufficio il vizio in presenza di un ricorso inammissibile, la “pena ingiusta“, ovverosia quella pena che, rimanendo entro i margini edittali sopravvenuti, sia irrogata:
– con riferimento alla gravità di un fatto criminoso il cui disvalore sociale non sia mutato significativamente;
– entro limiti ragionevolmente commisurabili, in astratto, anche alla diversa gravità del fatto come previsto dalla nuova normativa;
– determinandone in concreto il quantum con riferimento ad un gradiente di gravità non significativamente diverso rispetto a quello del successivo e più favorevole trattamento e chiaramente commisurato ai criteri indicati dall’art. 133 cod. pen.
Nella vicenda all’epoca rimessa alle Sezioni Unite, la forbice edittale del reato di cui al quinto comma dell’art. 73 del d.p.r. n. 309 del 1990 era stata contratta nelle more del processo con la previsione di una cornice edittale (reclusione da sei mesi a quattro anni) meno severa rispetto a quella originaria (reclusione da uno a sei anni) e le Sezioni Unite hanno conclusivamente ritenuto che il diritto dell’imputato di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo – a prescindere dalla assoluta incompatibilità della pena inflitta con i parametri di nuova introduzione – comportasse per il giudice della cognizione il dovere di applicare comunque la lex mitior; sia la finalità rieducativa della pena che il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità imponevano l’adeguamento della misura della sanzione, precedentemente individuata sulla base dei parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità.

In esito a tale percorso Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022 Miraglia Rv. 283689 – 01, chiamate a rispondere al quesito se, in presenza di ricorso per cassazione inammissibile per ragioni diverse dalla tardività dello stesso, la Corte di cassazione possa rilevare ex officio la illegalità della pena in quanto di specie diversa rispetto a quella di legge o inflitta in misura superiore al massimo edittale, al di fuori delle ipotesi in cui ciò derivi da sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della relativa norma e/o da mutamento normativo in melius della stessa, hanno risposto che spetta alla Corte di cassazione, in attuazione degli artt. 3, 13, 25 e 27 Cost. il potere, esercitabile anche in presenza di ricorso inammissibile, di rilevare l’illegalità della pena determinata dall’applicazione di sanzione “ab origine” contraria all’assetto normativo vigente perché di specie diversa da quella di legge o irrogata in misura superiore al massimo edittale (la fattispecie era relativa ad irrogazione della pena detentiva per il reato di cui all’art. 582 cod. pen., in luogo delle sanzioni previste, per i reati di competenza del giudice di pace, dall’art. 52, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274).
Sez. U. Miraglia, con specifico riferimento alla nozione di illegalità della pena dettano precise e chiare regole (pag. 8) affermando che: «occorre delimitare il concetto di illegalità della pena, che richiede particolare rigore esegetico, correlato alla esatta delimitazione dei problemi da risolvere, fermo restando che, nel caso di rilievo officioso, la nozione generale è operativamente destinata a misurarsi con il divieto di reformatio in pejus, che impedisce, in assenza di impugnativa del P. M., un intervento sulla pena inferiore al minimo previsto dalla legge. In giurisprudenza è infatti emersa anche un’accezione estesa di ‘pena illegale’, destinata a far riferimento al trattamento sanzionatorio concretamente modulato all’esito del processo. Anche Sez. 6, n. 17119 del 14/03/2019, P., Rv. 275898, chiamata ad occuparsi di una vicenda analoga, ha ritenuto che l’illegalità della pena si riferisce non solo alla pena non conforme a quella stabilita in astratto dalla norma penale, ma anche agli istituti che comunque incidono sul trattamento sanzionatorio e trovano applicazione nella sentenza di condanna».
E, ancora, le medesime S.U. Miraglia, a pag. 23, ricordano che: «In siffatta cornice, si colloca, come si diceva supra, la giurisprudenza di questa Corte ha tradizionalmente elaborato il principio in forza del quale, nell’ipotesi in cui il giudice abbia irrogato una sanzione superiore ai limiti edittali, ovvero più grave per genere o specie di quella prevista in astratto dalla fattispecie incriminatrice, la Corte di cassazione deve -anche di ufficio- annullare la sentenza impugnata, qualora non possa direttamente provvedere a rideterminare la pena (Sez. 2, n. 22494 del 25/05/2021, Karis, Rv. 281453-01, la quale ha sottolineato come si tratti di un potere officioso esercitabile solo in bonam partem, ossia nei casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato, posto che la pena favorevole al reo può essere corretta dalla Corte di cassazione solo in presenza di impugnazione del pubblico ministero). In tal modo, viene delineata una nozione circoscritta di pena illegale che, senza investire i modi del concreto esercizio del potere discrezionale assegnato al giudice di merito (e, pertanto, senza coinvolgere i profili di erronea applicazione dei criteri commisurativi), ha riguardo ai confini che segnano, nel quadro della legalità costituzionale, il fondamento della potestà punitiva, imponendo, rispetto al risultato di tutela dei diritti fondamentali, una coerente lettura del sistema processuale. Rientra pertanto in tale nozione la sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero superiore ai limiti previsti dalla legge o ancora più grave per genere o specie di quella individuata in astratto dal legislatore.
La conclusione (pag. 24 § 9.3.) è che: «Le Sezioni Unite ritengono che la nozione di pena illegale non possa estendersi sino al punto da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, a meno che ciò non comporti la determinazione di una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità. In altri termini, la pena è illegale, ai fini qui rilevanti del rilievo officioso anche in caso di inammissibilità del ricorso, non quando consegua ad una mera erronea applicazione dei criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero sia superiore ai limiti previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore. In definitiva, è necessario che la nozione di pena illegale, come si diceva in principio, venga calibrata sulla sua funzione di rappresentare l’altro polo del giudizio di bilanciamento da operare in relazione alle garanzie sottese al giudicato, ossia quale limite estremo di tutela della libertà personale esposta al rischio di un arbitrio che travalichi i limiti del potere sanzionatorio riconosciuto al giudice».
Per S.U. Miraglia (pag. 24) tale conclusione si impone in quanto «irrogare una sanzione diversa per specie e/ o quantità rispetto ai confini edittali impegna il valore costituzionale della legalità della pena di cui all’art. 25 Cost., che resterebbe vulnerato se non si potesse porre rimedio, anche d’ufficio, all’errore del giudice del grado precedente» (Sez. 2, n. 12991 del 19/02/ 2013, Stagno, Rv. 255197; così anche Sez. 5, n. 44897 del 30/09/ 2015, Galizia Lima, Rv. 265 529; Sez. 1, n. 33326 del 14/02/ 2017, Vizzaccaro, non mass.; Sez. 1, n. 40896 del 28/03/ 2017, Pucci, non mass.).
La conclusione, dunque, è nel senso che: «la pena che non sia prevista, nel genere, nella specie o nella quantità, dall’ordinamento, è una pena che attesta un abuso del potere discrezionale attribuito al giudice, con l’usurpazione dei poteri esclusivi del legislatore. Il rilievo dell’illegalità della pena, anche ab origine, deve, pertanto, prevalere sul giudicato sostanziale, in tal modo venendosi ad ampliare la casistica, già elaborata dalla giurisprudenza sopra ricordata, delle eccezioni alla regola dell’intangibilità del giudicato.

Nel solco di tale giurisprudenza, ancora recentemente, si è ulteriormente delineato il profilo dell’illegalità della pena affermando che a seguito della sentenza Corte costituzionale n. 40 del 2019, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte relativa al minimo edittale, fissato in anni otto di reclusione piuttosto che in anni sei, deve ritenersi illegale la pena inflitta sulla base della cornice sanzionatoria previgente, anche con riferimento ai fatti commessi in epoca precedente al 30 dicembre 2005. (Sez. 1, n. 20878 del 21/03/2023 Galeano) Rv. 284715 – 01 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che, pur trovando origine la predetta declaratoria di illegittimità costituzionale nell’assetto sanzionatorio determinatosi per effetto della sentenza Corte cost. n. 32 del 2014, non risultano poste altre limitazioni o condizioni alla sua applicazione). O, ancora, che in tema di ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento, deve ritenersi illegale, e non illegittima, l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva, in luogo della pena detentiva concordata, oltre i limiti fissati dall’art. 20-bis cod. pen. (Sez. 6, n. 45903 del 25/10/2023, Nadi Rv. 285451 – 01).
Ancora, si è affermato che costituisce pena illegale l’incremento sanzionatorio per la recidiva in misura eccedente il cumulo delle pene derivanti da precedenti condanne, in quanto il disposto di cui all’art. 99, comma sesto, cod. pen. pone un limite assoluto e inderogabile alla sanzione irrogabile in concreto (Sez. 2, n. 21426 del 15/03/2023, La Barbera, Rv. 284716 – 01).
Come ricorda condivisibilmente Sez. 2 n. 21426/2023 Nella giurisprudenza di legittimità la nozione di pena illegale risulta elaborata anche in relazione a casi simili essendosi affermato che il giudice d’appello, anche in mancanza di uno specifico motivo di gravame, ha il dovere, in forza del principio costituzionale di legalità della sanzione, di modificare la sentenza che abbia inflitto una pena illegale per eccesso in ordine alla sua quantità; in un primo caso (Sez. 1, n. 8405 del 21/01/2009, Rv. 242973 – 01) tale principio risulta affermato in relazione ad una fattispecie relativa all’irrogazione della pena di trenta anni di reclusione per il reato di omicidio, nonostante l’avvenuto riconoscimento dell’equivalenza tra le contestate aggravanti e le attenuanti generiche. In epoca successiva invece la stessa affermazione della ritualità della statuizione del giudice di appello pur non investito di motivo di gravame risulta adottata in relazione ad una fattispecie relativa al reato continuato in cui il giudice d’appello aveva provveduto a rideterminare la pena base – fissata dal giudice di primo grado in termini superiori al massimo edittale stabilito per la fattispecie – con conseguente riduzione della pena finale (Sez. 1, n. 7892 del 23/10/2019, Rv.278078 – 01).
«In sostanza, quindi -si legge ancora in Sez. 2 n. 21426/2023- il limite quantitativo massimo stabilito per ciascun reato anche aggravato costituisce un ostacolo superato il quale si configura la pena illegale; orbene, posto che la recidiva è una circostanza anche ad effetto speciale e che l’aumento massimo di pena previsto per detta circostanza è pari alle misure indicate dai commi 1, 2, 3 e 4 della stessa norma (un terzo, la metà o due terzi della pena base) nel rispetto però del limite previsto dall’ultimo comma della stessa norma (art. 99 comma sesto cod. pen.), deve ritenersi che un aumento in misura superiore al combinato disposto dei diversi commi, costituendo il comma sesto un limite assoluto ed inderogabile all’aumento possibile, costituisce pena illegale».
Diversamente, per Sez. U, n. 47182 del 31/03/2022, Savini, Rv. 283818 – 01, in tema di giudizio abbreviato, qualora la pena concretamente irrogata rientri nei limiti edittali, l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della misura della diminuente, prevista per un reato contravvenzionale giudicato con rito abbreviato, integra un’ipotesi di pena illegittima e non già di pena illegale (e perciò la Corte ha ritenuto preclusa, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., la relativa questione in quanto non dedotta con i motivi di appello).

Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 4 n. 9176 del 2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *