Paesaggio I. Poesia di Cesare Pavese

Paesaggio I Donna sterile Ritratto d'autore A Lui Lieve offerta Un ricordo Dall'alto EsternoPaesaggio I

Non è piú coltivata quassú la collina. Ci sono le felci
e la roccia scoperta e la sterilità.
Qui il lavoro non serve piú a niente. La vetta è bruciata
e la sola freschezza è il respiro. La grande fatica
è salire quassú: l’eremita ci venne una volta
e da allora è restato a rifarsi le forze.
L’eremita si veste di pelle di capra
e ha un sentore muschioso di bestia e di pipa,
che ha impregnato la terra, i cespugli e la grotta.
Quando fuma la pipa in disparte nel sole,
se lo perdo non so rintracciarlo, perché è del colore
delle felci bruciate. Ci salgono visitatori
che si accasciano sopra una pietra, sudati e affannati,
e lo trovano steso, con gli occhi nel cielo,
che respira profondo. Un lavoro l’ha fatto:
sopra il volto annerito ha lasciato infoltirsi la barba,
pochi peli rossicci. E depone gli sterchi
su uno spiazzo scoperto, a seccarsi nel sole.

Coste e valli di questa collina son verdi e profonde.
Tra le vigne i sentieri conducono su folli gruppi
di ragazze, vestite a colori violenti,
a far feste alla capra e gridare di là alla pianura.
Qualche volta compaiono file di ceste di frutta,
ma non salgono in cima: i villani le portano a casa
sulla schiena, contorti, e riaffondano in mezzo alle foglie.
Hanno troppo da fare e non vanno a veder l’eremita
i villani, ma scendono, salgono e zappano forte.
Quando han sete, tracannano vino: piantandosi in bocca
la bottiglia, sollevano gli occhi alla vetta bruciata.

La mattina sul fresco sono già di ritorno spossati
dal lavoro dell’alba e, se passa un pezzente,
tutta l’acqua che i pozzi riversano in mezzo ai raccolti
è per lui che la beva. Sogghignano ai gruppi di donne
e domandano quando, vestite di pelle di capra,
siederanno su tante colline a annerirsi al sole.

(Paesaggio I poesia di Cesare Pavese tratta dalla sezione “Antenati“, in Lavorare stanca, anno 1936).

 Lavorare Stanca ” è una raccolta di poesie di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 Settembre 1908 – Torino, 27 Agosto 1950) pubblicate nel 1936 a Firenze, che quasi ponendosi in profonda contraddizione con lo stile ermetico e complesso proprio di quel periodo, si caratterizza come poesia – racconto.

La raccolta poetica si suddivide in sei sezione: Antenati (I mari del Sud; AntenatiPaesaggio I; Gente spaesataIl dio caprone; Paesaggio II; Il figlio della vedovaLuna d’agostoGente che c’è stata; Paesaggio IIILa notte), Dopo (IncontroMania di solitudine; Rivelazione; Mattino; Estate; Notturno; Agonia; Paesaggio VII; Donne appassionate; Terre bruciate; Tolleranza; La puttana contadina; Pensieri di Deola; Due sigarette; Dopo), Città in campagna (Il tempo passaGente che non capisceCasa in costruzioneCittà in campagnaAtavismoAvventureCiviltà anticaUlisseDisciplinaPaesaggio VIndisciplinaRitratto d’autoreGrappa a settembreBalletto; Paternità; Atlantic Oil; Crepuscolo di sabbiatoriIl carrettiere; Lavorare stancaMaternità“ (Una stagionePiaceri notturniLa cena triste; Paesaggio IV; Un ricordo; La voceMaternitàLa moglie del barcaioloLa vecchia ubriacaPaesaggio VIII), Legna verde (Esterno; Fumatori di cartaUna generazione; Rivolta; Legna verde; Poggio Reale; Parole del politico) e Paternità (MediterraneaPaesaggio VI; MitoIl paradiso sui tettiSemplicitàL’istinto; PaternitàLo steddazzu); Appendice (Il mestiere di poeta; A proposito di certe poesie non ancora scritte).

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