Dare del puttaniere al coniuge separato e impegnato in una relazione extra-coniugale integra il reato di diffamazione?
Nel caso di specie l’imputata è stata condannata alla pena della multa e al risarcimento del danno per avere dichiarato a due diverse persone che il marito era un puttaniere.
La tesi dell’imputata – disattesa dal giudice di merito per essere, l’espressione, ritenuta caratterizzata da incontinenza – era quella di aver esercitato il diritto di critica nei confronti del marito di cui essa aveva scoperto una convivenza more uxorio, oggetto dei commenti all’interno della propria stretta cerchia familiare.
Il detto requisito della continenza delle espressioni attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero anche con la parola oltre che con ogni altro mezzo di diffusione), di rilevanza e tutela costituzionali (art. 21 Cost.), viene così rappresentato dalla giurisprudenza di legittimità: esso postula una forma espositiva corretta della critica rivolta e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. D’altra parte esso non vieta in alcun modo l’utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti.
E’ solo fatto carico al giudice di verificare se la valenza negativa dei giudizio espresso possa trovare conforto in elementi positivamente apprezzabili che lo giustifichino e valgano nel contempo ad escludere che si tratti di invettiva volta soltanto ad aggredire la personalità del destinatario, e in ultima analisi ad umiliarlo, al di fuori di un contesto critico e di una funzionalità argomentativa (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 21/07/2015).
Sulla stessa linea Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15060 del 13/04/2011) ha affermato che il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale.
Invero, come già rilevato in premessa, il fatto che l’attribuzione dei connotato di puttaniere al proprio coniuge, per quanto di fatto separato e impegnato in una relazione extra-coniugale, possa valere – oggettivamente e con tutti i connotati del dolo per chi pronuncia la espressione – a lederne la reputazione e dunque la considerazione sociale, soprattutto se quella attribuzione è avvenuta ad opera della ex moglie nel contesto di un colloquio all’interno della cerchia familiare, per la evidente necessità che il diritto alla reputazione trovi tutela per il singolo anche nella formazione sociale di base quale è la propria famiglia naturale.
Non si può tuttavia non considerare, sulla base di massime di esperienza di comune accettazione e condivisione, che è manifestamente illogico e insufficiente il giudizio che qualifichi la detta espressione come ontologicamente concepibile solo per apportare un vulnus alla considerazione dell’offeso e non anche, piuttosto, passibile di un uso funzionale, in determinati contesti, ad argomentare un giudizio sulla persona offesa che, per quanto violento, rientri tuttavia nel perimetro della critica.
Perchè non si può derogare dal rilevare che, in tema di diffamazione, la nozione di critica, quale espressione della libera manifestazione dei pensiero, ormai ammessa senza dubbio dalla elaborazione giurisprudenziale di legittimità e di merito, rimanda non solo all’area dei rilievi problematici ma anche e soprattutto a quella della disputa e della contrapposizione oltre che della disapprovazione e dei biasimo anche con toni e frasi aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all’oggetto della libera manifestazione dei pensiero, se non quelli specificamente (previsti) dal legislatore.
Limiti sono stati invece tracciati dal pensiero giuridico condiviso per garantire la contemporanea difesa dei diritti inviolabili dell’uomo, quale quello previsto dall’art. 2 Cost., pretendendo che non si attribuiscano ad altri fatti falsi, per la evidente assenza, in tal caso, di un difendibile e legittimo costrutto critico, e che la offesa sia effettivamente necessaria e solo funzionale alla formulazione della critica, sicchè non deve risultare una invettiva gratuita.
Ed allora, sulla base di tali presupposti, va notato che il giudice di merito ha relegato la espressione puttaniere nell’area di quelle prive di continenza, senza offrire alcuna spiegazione a tale conclusione.
Una simile conclusione risulta dunque, all’evidenza, meramente assertiva e deficitaria, non fosse altro in base al rilievo che il sostantivo in questione presenta più di una comune accezione.
Vi è infatti quella, derivante dalla sua letteralità, di connotazione di persona dedita alla frequentazione di meretrici, indubbiamente capace non solo di offendere ma anche di bollare il destinatario di essa, quando pronunciata al di fuori di una prospettiva ironica. Ma vi è anche quella, non ineludibilmente incontinente, di donnaiolo, playboy o uomo alla perenne ricerca di avventure amorose frivole e passeggere, che è la accezione riconosciuta nella lingua italiana traslata. Per tralasciare del tutto la accezione, qui non rilevante, in cui il termine è usato in letteratura per designare chi non limita le proprie esperienze e dunque in senso anche metaforico.
Di questi principi il giudice del merito dovrà prendere atto nella disamina e nella valutazione dell’accaduto, considerando che, secondo i principi elaborati dalla Corte di legittimità, solo le espressioni che trasmodino in un’incontrollata aggressione verbale dei soggetto criticato e si concretizzino nell’utilizzo di termini gravemente infamanti e inutilmente umilianti superano il limite della continenza nell’esercizio dei diritto di critica (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 29730 del 28/07/2010).
E ai fini di tale rinnovato giudizio dovrà il giudice del rinvio calare il comportamento offensivo della imputata nel contesto ambientale, temporale e storico nel quale esso è stato tenuto, al fine di far emergere i modi e le ragioni della esternazione, la quale non può certo essere giudicata in modo avulso dal complessivo colloquio e dai termini dello scambio di opinioni in essere in quel frangente: soprattutto non sottraendosi al dovere di valutare l’aggettivo in relazione alla affermazione della donna, recepita come tale anche nella sentenza di appello, secondo cui quella espressione sarebbe stata quella adatta a definire il comportamento del coniuge dal quale si era separata a causa di una relazione extraconiugale, e, secondo la stessa, non adeguatamente compreso dal figlio maggiorenne con il quale erano insorte gravi incomprensioni a causa di ciò.
Corte di Cassazione Sez. V, 8 settembre 2016, n. 37397