Il principio del “ragionevole dubbio” viene sancito dall’art. 533 c.p.p., in forza del quale occorre che la penale responsabilità sia affermata oltre ogni ragionevole dubbio.
E’ opportuno, evidenziare per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio“, presente nel testo dell’art. 533 C.p.P., che ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione. Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530, comma 2, sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (Cass., Sez. un., n. 30328 del 10 luglio 2002), secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (Cass., Sez. 2, n. 19575 del 21 aprile 2006; Cass., Sez. 2, n. 16357 del 2 aprile 2008; Cass., Sez. 2, n. 7035 del 9 novembre 2012).
A quest’ultimo riguardo si osserva che tale principio detta in realtà un canone epistemologico e valutativo, che si correla all’ontologica struttura del ragionamento probatorio, scandito anche dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e volto alla conferma dell’ipotesi di accusa (sul punto può rinviarsi alla motivazione di Cass. Sez. U. n. 30328 del 10/7/2002).
In tale prospettiva il rispetto di detto principio sottende una motivazione adeguata, che rifletta una valutazione completa del compendio probatorio, letto anche alla luce del contributo conoscitivo e critico offerto dalla difesa, e dia conto dunque delle criticità emerse, risolvendole sulla base degli elementi che valgono a suffragare l’assunto accusatorio, in assenza di residue ipotesi alternative, o prendendo atto dell’impossibilità di giungere a quella conferma.
A ben guardare, con riguardo al tema dell’oltre ogni ragionevole dubbio, possono prospettarsi due situazioni patologiche:
1) che il Giudice abbia affermato di poter superare il ragionevole dubbio, peraltro incorrendo in vizi della motivazione, riferiti alla valutazione riguardante la conferma dell’ipotesi accusatoria;
2) che il Giudice abbia palesato le ricostruzioni alternative, scegliendone una, in quanto ritenuta preferibile, ma senza premurarsi di fornire al riguardo una specifica giustificazione.
In entrambe le ipotesi è in realtà ravvisabile un vizio inerente alla motivazione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma nel secondo caso è ravvisabile anche una violazione di legge, riconducibile al paradigma di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in quanto la decisione, che non risolve la pur esplicitata ambivalente lettura del compendio probatorio e lascia aperta l’interpretazione alternativa, si pone direttamente in contrasto con il cogente canone di valutazione, consacrato dalla norma processuale.
Deve in realtà convenirsi che la regola di giudizio sancita dall’art. 533 c.p.p., non ha mutato la natura del sindacato di legittimità, giacchè le plurime ipotesi ricostruttive non possono essere dedotte come tali, allorchè il Giudice abbia sottoposto quella pluralità ad attenta disamina, essendo d’altro canto escluso che possa essere chiesto alla Corte di cassazione un giudizio di merito (sul punto Cass. Sez. 2, n. 28957 del 3/4/2017; Cass. Sez. 2, n. 29480 del 7/2/2017).
In tale prospettiva si comprende che non possa invocarsi l’ipotesi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), al di fuori della deduzione di un vizio di motivazione, allorchè si prospetti la sussistenza di ipotesi ricostruttive alternative (Cass. Sez. 3, n. 24574 del 12/3/2015).
E tuttavia, senza che ciò implichi un giudizio di merito ed anzi nel pieno rispetto dello scrutinio di legittimità, non può escludersi che dallo stesso testo della motivazione emerga la mancata soluzione del conflitto tra ipotesi antagoniste, pur esplicitate, ciò che, nel costituire violazione dell’art. 546 c.p.p., integra altresì una diretta violazione del canone di giudizio sancito dall’art. 533 c.p.p. (Cass. n. 10093/2019)