Reato continuato trova la sua disciplina nell’art. 81, comma 2 C.p.: “(È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo) … chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge“.
Secondo l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità, “in tema di quantificazione della pena a seguito di applicazione della disciplina del reato continuato in sede esecutiva, il giudice – in quanto titolare di un potere discrezionale esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 C.p. è tenuto a motivare, non solo in ordine all’individuazione della pena-base, ma anche in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reati-satellite ex art. 81, comma secondo, C.p., in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all’uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena-base” (Cass. Sez. 1, n. 17209 del 25/05/2020); inoltre (cfr. Cass., Sez. 6, n. 48009 del 28/09/2016; Sez. 1, n. 21641 del 08/01/2016; Sez.4, n. 28139 del 23/06/2015; in senso contrario, tuttavia, ex multis Sez. 3, n. 44931 del 02/12/2016; Sez. 1, n. 39350 del 19/07/2019).
Solo questa opzione ermeneutica è aderente allo statuto del reato continuato delineato negli ultimi anni da più pronunce emesse dalle Sezioni unite della Corte di legittimità tutte incentrate sulla necessità – peraltro codificata dall’art. 533, comma 2, C.p.P. (“Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione“), che la pena per il reato continuato, per quanto frutto di una operazione unitaria, renda sempre riconoscibile la pena individuata dal giudice, in aumento, per ciascun reato satellite al fine di garantire le altre specifiche finalità espressamente previste dalla legge e collegate ad una valutazione autonoma dei singoli reati che lo compongono (cfr. Cass., S.U., n. 22471 del 26/2/2015, e Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014).
Solo a fini esemplificativi si consideri la rilevanza che assume la pena inflitta per ciascun reato satellite con riferimento: alla verifica dell’osservanza del limite di cui al all’art. 81, terzo comma, C.p. (la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti); allo scioglimento del cumulo giuridico per la applicazione degli istituti della prescrizione e dell’indulto; alla scomponibilità della pena ai fini della sostituzione delle pene detentive brevi, ex art. 53, ultimo comma, Legge 24 Novembre 1981, n. 689; all’estinzione delle misure cautelari personali, secondo le affermazioni di Sez. U., n. 1 del 26/02/1997; alla durata delle misure cautelari, secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 2009, Vitale.
Ai sensi dell’art. 671 C.p.P.: “Nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione. … Il giudice dell’esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto“.
Il giudice adito ai sensi dell’art. 671 C.p.P. deve indicare, in modo esplicito o implicito, i parametri valutativi utilizzati in conformità ai criteri previsti dell’art. 133 C.p. così da rendere sempre possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena non essendo sufficiente il rispetto del limite massimo espressamente stabilito dalla legge con l’indicazione della misura massima del triplo della pena base (cfr. da ultimo Cass. Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, in precedenza Cass., Sez. 1, n. 21641 del 08/01/2016, che ha evidenziato la necessità di una congrua motivazione in ordine alla individuazione dell’entità dell’aumento ex art. 81, cpv., C.p., “specie quando questo, pur contenuto nel limite massimo stabilito dalla legge, determini una sperequazione nel trattamento sanzionatorio per le medesime fattispecie“); di conseguenza la mancanza di motivazione sul punto, sottraendo all’imputato il controllo sul potere discrezionale di commisurazione della pena, integra, un vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e C.p.P. (Cass., Sez. 2, n. 51731 del 19/11/2013; Sez. 4 n. 6853 del 27/1/2009).
L’obbligo motivazionale è correttamente assolto con il richiamo ai criteri generali dell’adeguatezza e della congruità o ai parametri contemplati dall’art. 133 C.p., quando la valutazione relativa all’aumento per i reati meno gravi non si discosta sensibilmente o comunque in modo significativo dal minimo applicabile ed è comunque contenuta rispetto alla pena determinata dal giudice della cognizione (Cass., Sez. 1, n. 8560 del 18/11/2014); quando, invece, l’aumento per i reati satellite è determinato in misura distante dal minimo fissato dall’art. 81, primo comma, C.p. e, correlativamente, più prossima a quella del giudice della cognizione, è sempre necessario indicare, sempre con riferimento ai parametri di cui all’art. 133 C.p., le specifiche ragioni poste a fondamento della dosimetria (Cass., Sez.1, n. 52531 del 19/09/2018; Sez. 1, n. 23352 del 14/09/2017). (Cass. 17209/2020).