Il reato di molestia di cui all’art. 660 C.p. vuole tutelare l’ordine pubblico, ove la molestia arrecata ad altri, interferisce nella sua vita privata e di riflesso nella sua vita sociale. Tale condotta di molestia o disturbo si realizza, secondo la lettera della norma, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo.
Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all’art. 660 C.p. consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all’art. 612-bis C.p. quando le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all’art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Cass., Sez. 5, n. 15625 del 9/2/2021).
Resta fermo, ovviamente, che, ai fini della sussistenza del reato di atti persecutori piuttosto che di quello di molestie, la prova del turbamento psicologico causato alla vittima deve essere ancorato non soltanto alle dichiarazioni rese dalla stessa ma anche alla obiettiva natura delle condotte molestatrici. Ed infatti, sono utilizzabili ai fini della prova del realizzarsi del grave stato d’ansia elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle sue effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata, in modo che si tenga conto di un’obiettiva idoneità delle molestie a provocare quell’alterazione grave della propria sfera psicologica indicata dalla disposizione incriminatrice (Cass., Sez. VI, n. 23375/2020; Cass., Sez. V, n. 17795/2017; Cass., Sez. VI, n. 50746/2014).
Ciò perché le molestie idonee a trasmodare nel reato di atti persecutori sono quelle che si caratterizzano per cagionare uno stato d’ansia in ragione della loro ampiezza, durata e carica lesiva o spregiativa nei confronti della vittima, (così ancora la sentenza n. 23375 del 2020 che richiama Cass., Sez. V, n. 29826 del 2015).
Si conferma, pertanto, che il criterio distintivo tra le due fattispecie di reato attiene al realizzarsi o meno di uno degli eventi alternativi previsti dal reato di stalking (Cass. Sez. III, n. 9222 del 16/01/2015). (Cassazione Sez. V, n. 15625 del 26.04.2021).