La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente il reato di violenza sessuale, ex art. 609-bis C.p. perpetrato nei confronti di due minori infra-quattordicenni e realizzato attraverso il mezzo telematico, ovvero via internet, mediante MSN.
Preliminarmente, in ragione della giovane età e dell’inesperienza delle vittime, si è accertata, nel caso di specie, l’efficacia intimidatoria delle espressioni utilizzate e che le stesse hanno effettivamente raggiunto lo scopo, tanto che le minori hanno ripetutamente assecondato le richieste loro rivolte. Ne consegue che le riprese video e le fotografie siano il risultato della coartazione della volontà conseguente alle minacce.
Invero, costituisce principio consolidato quello secondo il quale per la minaccia è sufficiente che il male prospettato sia idoneo a incutere timore nel soggetto passivo, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale e che questi si sia sentito effettivamente intimidito (Cass., Sez. V 46528, 17 dicembre 2008; Cass., Sez. VI n. 14628, 23 dicembre 1999 ed altre prec. conf.).
Con specifico riferimento al delitto di violenza sessuale, si è altresì specificato che l’elemento oggettivo del reato può consistere in qualsiasi intimidazione psicologica che si ponga quale mezzo di pressione morale sull’animo della vittima e sia in grado di provocare la coazione della stessa a subire gli atti sessuali, cosicché la minaccia può ritenersi integrata dalla prospettazione di un qualunque male che, in relazione alle circostanze che l’accompagnano, sia comunque tale da far sorgere nella vittima il timore di un pregiudizio concreto (così Cass., Sez. III n. 37251, 1 ottobre 2008, ove si riteneva l’efficacia della minaccia di esercitare un diritto e, segnatamente, un’azione di sfratto).
Si è affermato anche che, sempre nel reato di violenza sessuale, l’idoneità della minaccia a coartare la volontà della vittima deve esaminarsi non secondo criteri astratti aprioristici, ma tenendosi invece conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva, con la conseguenza che anche una semplice minaccia o intimidazione psicologica, attuata in situazioni particolari tali da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, può esser sufficiente ad integrare, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase della condotta tipica dei reati in esame, gli estremi della violenza (Cass., Sez. III n. 35863, 25 ottobre 2002; Cass., Sez. III n. 1911, 21 febbraio 2000).
È stata inoltre ritenuta minaccia idonea anche quella di diffusione di materiale compromettente costituito da un fotomontaggio ritraente la vittima in pose oscene (Cass., Sez. III n. 34128, 12 ottobre 2006).
Mentre per quanto concerne l’applicazione dell’attenuante di cui all’ultimo comma dell’articolo 609-bis C.p., la stessa ricorre allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico (Cass., Sez. III n. 45604, 6 dicembre 2007; Cass., Sez. III n. 1057, 17 gennaio 2007; Cass., Sez. III n. 40174, 6 dicembre 2006).
Ciò posto, deve ricordarsi che, per l’applicazione dell’attenuante in questione, non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore dei reato e la vittima (Cass., Sez. III n. 10085, 6 marzo 2009; Cass., Sez. III n. 14230, 4 aprile 2008) ed è pertanto evidente che anche la circostanza di una eventuale comunicazione a distanza senza alcun contatto fisico tra autore del reato e soggetto passivo non assume, di per sé, rilievo determinante, ma deve essere valutata unitamente agli altri elementi che la richiamata giurisprudenza individua tra quelli da considerare.
Tale rilievo appare del tutto corretto, atteso che il mezzo informatico e le comunicazioni mediante “chat” o “social network”, rendono particolarmente agevole l’approccio anche con soggetti con i quali il contatto diretto o attraverso altri mezzi di comunicazione sarebbe senz’altro più difficoltoso, non essendo necessario disporre, ai fini di tale contatto, di dati personali (identità, indirizzo, numero telefonico etc.) e potendosi raggiungere l’interlocutore anche attraverso una semplice ricerca o l’utilizzazione dei sistemi utilizzati dalle singole piattaforme per mettere in contatto tra loro gli utenti. Rilievo non minore assume, inoltre, la velocità delle comunicazioni e la possibilità di inviare fotografie e riprese video, anche contestualmente alla loro realizzazione, attraverso dispositivi portatili.
Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza 02.05.2013 n. 19033