Il reato di Resistenza a un pubblico ufficiale è disciplinato dall’art. 337 C.p.:
Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Il delitto di cui all’art. 337 C.p. si configura anche in dipendenza da atti di autolesionismo.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale può essere integrato anche da una condotta autolesionistica dell’agente, quando la stessa sia finalizzata ad impedire o contrastare il compimento di un atto dell’ufficio ad opera del pubblico ufficiale (Cass. Sez. 6, sent. n. 10878 del 18/11/2009; Cass., Sez. 6, sent. n. 4929 del 17/12/2003). (Cass. n. 42951 – 11 ottobre 2016)
Inoltre, occorre rilevare che il reato di resistenza a un pubblico ufficiale postuli, giusta il chiaro dato normativo, la “violenza” o la “minaccia” per opporsi all’atto d’ufficio o di servizio, il che presuppone – quanto alla prima ipotesi – un vero e proprio impiego di forza da parte dell’agente e quanto alla seconda ipotesi – l’attuazione di un comportamento percepibile come minaccioso, in entrambi i casi volto a contrastare il compimento dell’atto del pubblico ufficiale. Se ne inferisce che il delitto non è configurabile nel caso in cui l’agente ponga in essere una condotta di mera resistenza passiva, come nel caso egli si dia semplicemente alla fuga, ovvero quando si limiti a divincolarsi come una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale.
Nondimeno, come la Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire, integra l’elemento materiale della violenza del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale anche la condotta del soggetto che si dia alla fuga alla guida di una autovettura, allorquando egli non si limiti a cercare di sottrarsi all’inseguimento, ma ponga deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada (Cass., Sez. F, n. 40 del 10/09/2013).
In tale caso, l’autore del fatto non si limita a tentare un commodus discessus a bordo di un mezzo di locomozione e dunque a sottrarsi all’atto dovuto del pubblico ufficiale, ma tiene un comportamento di guida integrante di per sé – in considerazione della pericolosità delle manovre attuate per seminare gli inseguitori e della messa a repentaglio dell’incolumità di essi e degli altri utenti della strada – gli estremi della “violenza” o comunque della “minaccia” rilevanti ai fini della integrazione della fattispecie incriminatrice in parola. Pur allontanandosi dai pubblici ufficiali, l’agente pone, difatti, in atto nei loro riguardi o comunque della collettività (la cui incolumità e sicurezza sono tenuti a proteggere gli operanti), una condotta aggressiva o comunque minacciosa seppure attuata mediante il mezzo di locomozione – al fine di indurli a soprassedere dal compimento dell’atto d’ufficio e, dunque, realizza un’intenzionale opposizione ad esso.
In questo senso, la Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che, nel reato di resistenza a un pubblico ufficiale, la violenza o minaccia deve consistere in un comportamento idoneo ad opporsi all’atto che il pubblico ufficiale sta legittimamente compiendo, in grado di ostacolarne la realizzazione; sicché, in mancanza di elementi che rendano evidente la messa in pericolo per la pubblica incolumità e l’indiretta coartazione psicologica dei pubblici ufficiali, l’agente non deve rispondere di tale reato (Cass., Sez. 6, n. 35448 del 08/07/2002).
È ovvio che la demarcazione fra una condotta di fuga meramente passiva, non dante luogo al reato de quo, ed una condotta di fuga invece connotata da sia pur minimi tratti di offensività o di messa in pericolo dell’incolumità personale di terzi (pubblici ufficiali o estranei), integrante invece la fattispecie, postula un attento e puntuale accertamento delle modalità esecutive del comportamento di guida tenuto dall’agente, che potrà ritenersi sussumibile nell’ipotesi di cui all’art. 337 C.p.. soltanto allorquando risulti volto non meramente ad eludere, a sfuggire passivamente, ma ad intralciare attivamente l’atto d’ufficio del pubblico agente, con una condotta violenta o comunque lato sensu intimidatoria, volontaria e diretta a tale scopo. (Corte di Cassazione penale sez. VI, 02/02/2017, n.17061)