Revoca dal beneficio dell’ ammissione al lavoro di pubblica utilità

revocaLa revoca del beneficio dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità è disposta dal giudice che procede o dal giudice dell’ esecuzione in ragione della condotta tenuta dal condannato durante l’esecuzione della pena sostitutiva.

Le previsioni normative di riferimento sono contenute nell’ art. 187 Codice della Strada, secondo il quale la revoca della misura non è automatica, ma è disposta in base alla valutazione dei motivi, dell’ entità e delle circostanze della violazione accertata e va rapportata alle prescrizioni contenute nella convenzione con l’istituzione datrice di lavoro ed alle disposizioni impartite per lo svolgimento dell’attività, che concorrono a definire il contenuto dell’obbligo assunto dal condannato.

La questione in punto di diritto che merita di essere valutata consiste nell’ individuazione degli effetti derivanti dall’interruzione del lavoro di pubblica utilità, quale pena sostituiva applicata al condannato ai sensi dell’art. 187 citato e del conseguente provvedimento di revoca, imponendo di verificare se operi in via retroattiva senza assegnare alcuna rilevanza al periodo di lavoro già svolto, oppure se debba tenersene conto mediante lo scomputo dalla pena residua ancora da eseguire, previo ragguaglio.

La norma di riferimento è costituita in primo luogo dall’art. 187, comma 8-bis, il quale, analogamente alla previsione dell’art. 186 comma 9-bis dello stesso testo di legge, stabilisce che in caso di violazione degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione dispone “la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e della confisca”.

Di per sé la disposizione nel suo testuale tenore prescrittivo e nell’interpretazione letterale per l’uso del verbo ripristinare pare significare l’eliminazione per il futuro della pena sostitutiva e l’applicazione di quella originariamente inflitta e sostituita con il lavoro di pubblica utilità, senza testualmente disporre alcunché per il caso in cui tale misura punitiva abbia trovato attuazione concreta sino alla violazione delle relative prescrizioni e quindi nemmeno disciplinare positivamente gli effetti prodotti dalla revoca disposta.

La tematica è discussa in dottrina, che si è divisa tra le due soluzioni possibili.

La giurisprudenza di legittimità segue l’opinione che afferma la non retroattività della revoca.

La natura giuridica dell’istituto del lavoro di pubblica utilità quale pena, avente un contenuto afflittivo perché limitativo della libertà personale, imponendo la prestazione di attività lavorativa gratuita in condizioni e con obblighi prestabiliti da rispettare, induce a ritenere che la revoca “ex tunc” dell’ammissione al lavoro di pubblica utilità con l’applicazione della pena in precedenza sostituita danno luogo ad una gravosa duplicazione punitiva.

In altri termini, il comportamento del condannato inadempiente che non si sia del tutto sottratto all’esecuzione dell’attività impostagli a titolo di sanzione para-detentiva, ma ne abbia violato gli obblighi dopo una prima fase esecutiva caratterizzata da svolgimento regolare, susciterebbe una duplice reazione dell’ordinamento, da un lato la sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell’art. 56 D.Lgs. n. 274/2000 e dall’altro il prolungamento della durata della pena originaria sostituita per effetto della revoca.

Per evitare tale irragionevole inasprimento punitivo, che pone nel nulla il pur corretto comportamento esecutivo tenuto, seppur temporalmente limitato, e che finirebbe per contrastare la finalità rieducativa del reo, cui anche il lavoro di pubblica utilità tende, deve affermarsi il seguente principio di diritto

“l’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie”. 

Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 32416 Anno 2016

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