Il riavvicinamento temporaneo della vittima al suo persecutore nel reato di atti persecutori non ha alcuna rilevanza ai fini della configurabilità dello stesso sotto il profilo del realizzarsi di uno degli eventi alternativi necessari alla sua consumazione.
Il temporaneo od episodico riavvicinamento della vittima al suo persecutore neppure può ritenersi che interrompa l’abitualità del reato ovvero mini la continuità delle condotte persecutorie, poichè l’ambivalenza dei sentimenti nutriti dalla prima nei confronti del secondo, ovvero una ripresa temporanea od episodica dei loro rapporti da qualsiasi motivo sia stata dettata, non rende di per sè irrilevante penalmente e “coperta” per il futuro la condotta persecutoria che si continui a commettere, nè tantomeno evidenzia l’insussistenza dello stato di paura o di ansia della vittima rispetto al comportamento dell’autore della condotta.
Il riavvicinamento temporaneo della vittima al suo persecutore nel reato di atti persecutori non ha alcuna rilevanza neanche ai fini della valutazione sulla credibilità della vittima quale teste.
Secondo la giurisprudenza di legittimità nell’ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della moglie separata, l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia avuto transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione con il proprio persecutore ovvero nutra nei confronti di questi sentimenti ambivalenti (Cass., Sez. 5, n. 41040 del 17/6/2014; Sez. 6, n. 31309 del 13/5/2015).
Nelle più frequenti ipotesi che realizzano il reato di cui all’art. 612-bis C.p., i rapporti tra chi agisce con la condotta persecutoria e chi la subisce si caratterizzano per complessità sentimentale e relazionale, ovvero sovente si radicano su strutture di legame familiare che, soprattutto quando vi siano figli minori, invitano a riallacciare una sorta di vicinanza.
In ogni caso, non potendo aver rilievo, ai fini della configurabilità del reato, il movente che spinga la vittima a determinarsi a ricucire, sia pur per brevi periodi o singoli momenti, il rapporto con il suo persecutore, ciò che conta è l’oggettiva e complessiva idoneità della condotta a generare nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Cass., Sez. 5, n. 54920 del 8/6/2016), idoneità valutata e dedotta anche dalla (sola) natura dei comportamenti psicologicamente destabilizzanti tenuti dall’agente ai danni della persona offesa.
Del resto, è opinione della giurisprudenza di legittimità che le condotte persecutorie non necessitino di una reiterazione in una prolungata sequenza temporale, potendo essere sufficienti a configurare il delitto anche poche condotte di minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo (Cass., Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018; Cass., Sez. 5, n. 46331 del 5/6/2013; Cass., Sez. 5, n. 6417 del 21/1/2010), ferma la necessità che gli atti siano tra loro autonomi e che la reiterazione di questi sia la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice (Cass., Sez. 5, n. 33563 del 16/6/2015; Cass., Sez. 5, n. 38306 del 13/6/2016).
Inoltre, in tema di atti persecutori, la prova dello stato d’ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall’agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass., Sez. 5, n. 24135 del 9/5/2012).
In altre parole, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura è ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche e soprattutto da quest’ultima, la quale deve essere considerata tanto nella sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto nel suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass., Sez. 6, n. 20038 del 19/3/2014; Cass., Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014; Cass., Sez. 5, n. 17795 del 2/3/2017).
Corte di Cassazione, Sez. V, n. 46165/2019